«Ne ho sentite di cotte e di crude sulle sfilate e sono stufo: il mondo della moda è troppo pettegolo, con i tempi che corrono dobbiamo fare le cose sul serio: bisogna scrollarsi di dosso l'effimero e la brutta abitudine di spettegolare». Rocco Barocco si sfoga alla vigilia della sua sfilata in calendario domani a Milano Moda Donna. Logico pensare che ci sia sotto qualcosa di grosso perché lui è un signore pacifico e prudente che pensa solo ai casi suoi e non parla mai male di nessuno.
Con chi ce l'ha?
«Con nessuno solo mi spiace che in questo settore così importante per l'Italia sia tanto difficile fare sistema. Insomma se metti una noce sola nel sacco non puoi fare tanto rumore. Se ne mettiamo tante, tutte insieme, facciamo un fracasso infernale. Insomma sono arrabbiato con chi va a sfilare all'estero e con voi giornalisti che correte a New York, Parigi e Londra per scrivere di chissà chi. Dovete sostenere gli stilisti italiani, altro che storie».
Suggerisce un ritorno all'autarchia?
«Ma figuriamoci. Nella moda per fortuna non c'è politica, è bella anche per questo. Solo dico che dobbiamo essere più compatti nel proteggere un bene nazionale. Prendiamo il caso della nostra tv di Stato per cui tra l'altro bisogna anche pagare un canone. Mi sembra che non dia tanto spazio alla moda. E questo è assurdo oltre che dannoso».
Forse per questo alcuni suoi colleghi vanno a sfilare allestero?
«Ognuno è libero di fare quel che vuole, ma non mi vengano poi a dire che siamo in crisi e bisogna stringere la cinghia. In questa tornata di sfilate ho deciso di sfilare al Castello Sforzesco perché mi sembra giusto sostenere la Camera Nazionale della Moda Italiana e dare un segnale forte, costi quel che costi, alla stampa internazionale. Bisogna fare sistema. Senza se e senza ma».
Su cosa sta lavorando?
«Su un'immagine di donna iperfemminile che usa con sapienza gli elementi del guardaroba maschile, compresa la cravatta. Tre anni fa mi sono analizzato da solo facendo una sintesi del mio lavoro. Sono sempre stato un vulcano di idee, le mettevo tutte nelle collezioni, non sapevo capitalizzarle. Con una mia sfilata se ne potevano fare tre se non quattro. Adesso ho imparato: lavoro su un'idea e vado fino in fondo. Bisogna sempre fare un lavoro serio e fatto bene. Io ci provo da 40 anni, ma adesso dobbiamo tutti lavorare al meglio delle nostre possibilità, altrimenti siamo spacciati».
Lei però vive un momento d'oro nonostante la crisi
«Mi sono organizzato per tempo. Dopo la famosa rivoluzione del mio metodo stilistico, ho lavorato sul riassetto commerciale della griffe. Da due anni abbiamo definito come si deve tutte le licenze: donna, uomo, bambino, accessori, casa e profumi. Poi ci siamo concentrati sull'apertura dei negozi monomarca: tre in Italia, due a Dubai, uno ad Abu Dhabi e uno a Doha. Adesso stiamo definendo un'importante partnership per la distribuzione in Cina: dovremmo aprire una trentina di boutique nei prossimi tre anni».
Dopo 40 anni di successi nella moda questo lavoro le regala ancora emozioni?
«Altrimenti non lo farei. Mi piace lavorare per persone speciali, soprattutto per le donne cui le cose non si perdono addosso, ma fanno parte del tutto. Penso a Peggy Guggenheim che ho avuto il grande piacere di conoscere. Sono rimasto affascinato dalla semplicità con cui faceva le cose nonostante fosse una grande eccentrica per natura.
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