Macchina per scrivere e parole rock Così si consuma il duello della vita

Da ieri in scena al Teatro Duse fino a domenica 8 febbraio «Vero West» di Sam Shepard, produzione Teatri Possibili, con Corrado D'Elia e Jurij Ferrini diretti da Sergio Maifredi. Testo del 1971, di un cow boy che poi è diventato Shepard, Pulitzer nel ’79, attore, sceneggiatore di teatro e cinema («Paris, Texas» con Wim Wenders e «Zabriskie Point» con Antonioni), erede del grande teatro americano, compagno di Jessica Lange, con ranch gigantesco e bello da morire. Due fratelli, stessa terra, Austin che la vita la immagina solo, ma la scrive da dio e ce l’ha fatta, Lee che la rischia tra espedienti e deserto, intorno terra, strada e il West, della «road culture» anni 50, moto sparate all’orizzonte e auto verso il nulla «che chi insegue non sa dove lo porti e l’inseguito non sa dove va». Il «coast to coast», l’auto-casa, il motel nel niente, sterrati, asfalto, pietre. E cow boys. Spazi, silenzi, distanze levitano dal palco zattera di Maifredi, 5mX4, sospeso, un passo e cadi. Pochi oggetti ed ecco il luogo di frontiera, l’asfalto verso il nulla, l’ovunque del West in cui perdersi e smarrire il senso di tutto. La salvezza è la casa, ma non la raggiungi e se la trovi ti espelle come forza centrifuga. Quella che spinge i due l’uno contro l’altro a sfidarsi a colpi di parole «rock» e macchina da scrivere. Il rock, pezzo di West, non solo musica, ma duello a parole che atterrano un uomo. La ritmica, la lingua, l’aggressività è rock. L’incomunicabilità, la distanza, il vuoto è West. Il riverbero tremulo all’orizzonte non lo vedi ma lo sai, sul sottofondo di coyote e grilli, armonica, chitarra e basso della musica di Bruno Coli, già con Maifredi in Esopo Opera Rock.
Ma il West è anche tragedia, scontro epico, inversione di destini. Ecco il duello a colpi di sceneggiatura fra Austin (Corrado D’Elia), calza blu e giacca da camera e Lee (Jurij Ferrini), occhiale a specchio, braghe mimetiche e recitazione sporca. Lee scrive senza sapere cos’è l’ortografia e Austin se la ride. Ma, sorpresa, vince il West, la verità non l’arte, il pezzo di Lee che «non ho fatto l'università» ma il suo pezzo «è vero west, terra, cielo e deserto» e il produttore lo compra per un sacco di dollari. Austin, mesi su un «progetto d’epoca» amore e azione e vince quell’alcolizzato di Lee, che scrive sgrammaticato che «mancano 50 miglia al confine e possono succedere un sacco di cose in 50 miglia». Austin crolla . «Non esiste più il west!» grida al produttore, a Lee «Il West è morto e voi con lui». E invece no, perché Lee che sogna di farsi un ranch non più «fregando diesel», ce la fa scrivendo. Di Vero West. D’Elia e Ferrini rinunciano al protagonismo per una potente prova d’insieme, ritmica e serrata, ironica e rock. Una meraviglia. Sullo sfondo il produttore, Roberta Calia, e una madre quasi evocata. Sul piano inclinato, luci blu profondo o rosso acido, all'ultimo sangue a sorpresa vince il West.

E Maifredi, con uno spettacolo che amplifica la sceneggiatura, evoca con la musica, isola la parola, al confine fra commedia e tragedia dove l’opera deve stare. E prende il premio dall’Associazione Nazionale Critici di Teatro.

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