Spesso il centrodestra pone l’accento sull’importanza della tradizione. In cosa essa consista non sempre è chiaro. Sul piano pratico una politica che valorizza la tradizione non può che puntare su un patrimonio colossale, allegramente trascurato dallo Stato da circa 150 anni, cioè biblioteche e archivi. Lì è custodita la tradizione, sotto forma di manoscritti ed edizioni antiche. Di inestimabile valore culturale e anche economico. Piccolissimo problema: è difficile conservare ciò che non sappiamo di possedere. Ecco perché il problema del catalogo dovrebbe essere il primo da affrontare seriamente, soprattutto per un governo come quello in carica. L’accordo con Google per la digitalizzazione di una parte consistente di volumi delle biblioteche nazionali può essere un primo passo. Il passo decisivo sarebbe dare un impulso decisivo a progetti come Manus, che mira alla digitalizzazione degli indici dei manoscritti italiani. Lodevole iniziativa, e anche ben realizzata, ma troppo lenta per un Paese già in colossale ritardo. (A proposito, non è che questa avrebbe potuto essere la grande opera per le celebrazioni dell’Unità? La Biblioteca Apostolica Vaticana ha dato il via alle operazioni di digitalizzazione proprio ieri...).
Per capire l’importanza della posta in gioco, possiamo fare un salto alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, che dipende dall’Arcivescovado e festeggia i quattrocento anni dalla fondazione con una grande esposizione (vedi articolo qui sotto). Non c’è bisogno di andarci fisicamente, basta accedere al sito nel quale è disponibile ormai buona parte del catalogo dei manoscritti in formato elettronico, cosa che semplifica le ricerche. Sono oltre cinquemila schede compilate col software di Manus e realizzate col sostegno del ministero dei Beni culturali, dell’Istituto centrale per il catalogo unico e di Microsoft. È il progetto più ampio realizzato per una singola biblioteca in Italia. Una volta dentro, digitate il nome dello scrittore più influente della nostra storia insieme con Dante Alighieri, di sicuro il più studiato all’estero: Niccolò Machiavelli. Credete che di lui si sappia tutto? Niente affatto. Anzi. La discussione accademica, dai toni incredibilmente violenti per un ambito sonnolento come l’italianistica, infuria da decenni. Il problema, in sostanza, è questo: il Segretario fu repubblicano oppure no? Fu per il governo del senato fiorentino, formato dalle famiglie più influenti e modellato su quello di Roma antica, o parteggiò per il dominio incontrastato dei Medici? E il problema si risolve in un solo modo. Cioè studiando il rapporto fra i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, il capolavoro di Niccolò, e il Principe. Il primo filo-repubblicano e il secondo filo-mediceo. Il primo canta le lodi del Senato e del (positivo!) scontro fra i ceti. Il secondo invece elogia il tiranno modello Cesare Borgia. Quale opera fu scritta prima? E quale rispecchia meglio, o più sinceramente, il pensiero di Machiavelli? Per rispondere a queste domande (cruciali: ne va dell’interpretazione dell’autore che ha fondato le scienze politiche) sarebbe necessario reperire nuovi documenti. Ma come si fa se non sappiamo cosa ci sia di preciso nelle nostre biblioteche? Ad esempio, manca un censimento completo della corrispondenza, che potrebbe fornire indicazioni cronologiche fondamentali. Ma anche le fonti letterarie non sono da trascurare. E qui vengo al catalogo dell’Ambrosiana.
Se digitate Niccolò Machiavelli nella maschera di ricerca, troverete un sorprendente risultato. Nel manoscritto A 8 superiore (questa è la «segnatura» che permette di identificarlo) si trova un’ampia silloge di poesie scritte da Cosimo Rucellai, Luigi Alamanni e Francesco Guidetti (e non Guicciardini come riporta in un caso il catalogo dell’Ambrosiana, nessuno è immune dall’errore). Chi sono costoro? Sono nobili fiorentini, frequentatori abituali degli Orti Oricellari, il giardino di casa Rucellai in Firenze (Via della Scala) in cui i giovani rampolli dell’aristocrazia si riunivano per parlare di letteratura e politica. Al padrone di casa, Cosimo Rucellai, Niccolò ha dedicato proprio i suoi Discorsi. Da questo ambiente, pochi anni dopo il passaggio di Machiavelli (datato 1516-1519), usciranno i protagonisti di una disastrosa congiura contro i Medici (1522). Tra le rime di Cosimo Rucellai ci sono numerosi testi, tutti inediti tranne uno, importantissimi. Un sonetto, Spirito in fra gli eletti al mondo eletto, è indirizzato a Niccolò Machiavelli. È un deferente invito alla propria villa di campagna di Quaracchi. L’ex segretario della Repubblica di Firenze, in quegli anni caduto in disgrazia presso i Medici, è chiaramente additato come un maestro che schiva «i colpi d’una sorte avara». Il modello della poesia è il Petrarca del periodo «avignonese», indignato contro il Papato in decadenza morale. E negli anni in cui Cosimo Rucellai (morto giovanissimo nel 1519) scrive, guarda caso, il Papa è Leone X al secolo Giovanni de’ Medici. Firenze è definita «ria città», dedita solo a «ingiuste imprese». Basterebbe questo per dimostrare l’importanza di avere un buon catalogo. Ma c’è dell’altro. Infatti, tra gli scritti di Cosimo, c’è addirittura un sonetto in lode di Bruto, il tirannicida assassino di Giulio Cesare (Poi che serpendo per l’immagin viva, unico testo edito in rivista da Massimo Danzi)...
Agli studiosi la interpretazione di queste carte decisive per capire Machiavelli, come è evidente.
Intanto però possiamo dire che ignorare tali documenti, di cui manca un’edizione critica e finora noti alla cerchia ristretta di specialisti che frequentano la sala lettura dell’Ambrosiana, significa precludersi la conoscenza della nostra identità nazionale. La conservazione dei Beni culturali dovrebbe consistere nel porre rimedio a queste secolari lacune.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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