Politica

In manette un «clan» di 20 giovani hacker

Mariateresa Conti

da Palermo

Giovanissimi, di buona famiglia, abilissimi nell’utilizzo del computer. Tanto abili da essere stati capaci di mandare in tilt siti istituzionali quali quello del ministero delle Finanze o dell’Università di Pisa. Un’autentica «associazione per delinquere» telematica, sgominata, dopo un anno di indagini, dalla Polizia postale e delle Comunicazioni di Catania.
Sono una ventina, sparsi un po’ in tutta Italia, gli hacker scoperti dagli investigatori della città etnea, ai quali - ed è la prima volta che avviene in Italia - è stato contestato in concorso il reato di associazione per delinquere finalizzata all’intrusione e al danneggiamento di sistemi informatici. L’inchiesta, lunga circa un anno, è coordinata dal procuratore aggiunto di Catania Enzo Serpotta e dal sostituto Alessia Minicò in collaborazione con il procuratore per i minori di Catania Gaspare Busacca e con il sostituto della stessa procura dei minori Angelo Busacca. Sei dei venti denunciati sono infatti minorenni. Tra loro, un ragazzo di 17 anni di Frosinone, figlio di commercianti ciociari molto conosciuti. Oltre che Frosinone e Catania, le città interessate dall’indagine sono Palermo, Reggio Calabria, Cosenza, Napoli, Latina, Viterbo, Bari, Foggia, Savona, Milano, Varese, Bergamo, Rovigo, Bologna, Perugia e Teramo.
Il sistema utilizzato dai pirati informatici era ingegnoso ed evidentemente efficace, visto che persino il sito Internet del ministero delle Finanze è stato off limits per tre giorni. Gli hacker si tenevano in contatto tra loro dialogando su un sistema di chat multiutente, la Irc. Lì, per l’accusa, concordavano quali siti mandare in tilt e le modalità da utilizzare. Individuati anche alcuni dei nickname usati, come Zeus o Sinapsi, grazie - secondo quanto reso noto dagli inquirenti - ad un infiltrato, che sarebbe riuscito a conquistare la fiducia degli hacker e a carpire così i segreti della banda.
I pirati non intervenivano direttamente con i propri terminali. Utilizzavano infatti i computer di ignari utenti il cui sistema operativo era stato modificato con un «cavallo di Troia». Un sistema praticamente perfetto, considerata la mole di virus e messaggi e-mail sospetti che pressoché quotidianamente infestano la posta elettronica. Insomma, a mandare in tilt siti istituzionali, erano degli «zombie» totalmente all’oscuro di quello che era accaduto al sistema operativo del proprio pc. È così che il sito del ministero delle Finanze è diventato irraggiungibile per tre giorni. Ed è così che da Internet è scomparsa la home page dell’Università di Pisa - sostituita con quella di una radio che, ovviamente, non veniva riconosciuta dai motori di ricerca, e con essa l’intero sito dell’ateneo. Mandata in tilt anche, per qualche giorno, una delle chat più frequentate in Italia. Un fenomeno inquietante. Tanto più che organizzazioni simili a quella individuata dalla Polizia postale di Catania sono molto comuni ad esempio negli Stati Uniti, dove hanno assunto i contorni di autentiche bande.
Al di là della violazione in sé, l’azione portata avanti dai pirati informatici ha creato anche notevoli problemi di carattere economico dei quali i responsabili, se riconosciuti colpevoli, dovranno rispondere.

Basta pensare alla pubblicità che è venuta a mancare nelle giornate di buio dei siti mandati in tilt.

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