Il Manifesto di Pera per il Polo «L’Occidente ritrovi l’identità»

Il presidente del Senato incontra Berlusconi: approvato il documento che sarà firmato da intellettuali e politici dell’area del centrodestra

Mario Sechi

da Roma

Quaranta minuti di faccia a faccia tra Silvio Berlusconi e Marcello Pera hanno dato il via libera al manifesto che il Presidente del Senato presenterà ufficialmente domani e sarà il primo passo della «sfida per l’Occidente» di Forza Italia e della Casa delle Libertà.
L’incontro tra Berlusconi e Pera si è svolto in un clima di grande amicizia, piena la sintonia sui temi di fondo del manifesto e convinto il sostegno del presidente del Consiglio su una iniziativa che riprende i temi della politica estera e le battaglie fatte in Europa da Berlusconi per inserirle nel filone culturale che Pera ha portato avanti fin dall’11 settembre 2001, data in cui «il mondo non sarebbe mai stato più lo stesso». Il manifesto è il compimento di cinque anni di lavoro politico, la prosecuzione naturale degli esiti del convegno di Norcia (intitolato «A Cesare e a Dio») e della collaborazione tra istituzioni laiche e cattoliche (in particolare, la Fondazione Magna Carta, la Fondazione per la Sussidiarietà e la Compagnia delle Opere). Berlusconi ha dato il suo contributo e i suoi consigli e con Pera ha convenuto che i contenuti del manifesto debbano trovare non solo l’appoggio di Forza Italia e degli alleati, ma possa contare anche su un gruppo di punta di candidati che se ne facciano poi interpreti in Parlamento. Circolano i nomi di Magdi Allam, editorialista del Corriere della Sera e profondo conoscitore del mondo arabo, Fiamma Nirenstein, scrittrice esperta di Israele e Medio Oriente e Gaetano Quagliariello, professore di storia contemporanea alla Luiss e consigliere politico di Pera, ma questo è un capitolo ancora in fieri. Il primo passo è quello del manifesto, un testo agile - in linea con la volontà di Berlusconi di comunicare con chiarezza i contenuti agli elettori - con un linguaggio semplice ma senza allusioni. Non c’è spazio per il non-detto. L’incipit è già un programma politico - «l’Occidente è in crisi» - e le ragioni di questa crisi sono nel fatto che «attaccato dall’esterno dal fondamentalismo e dal terrorismo islamico, non è capace di rispondere alla sfida». Sono le prime parole di un preambolo che si snoda in vari punti che Pera illustrerà domani nell’incontro alla sala della Stampa Estera a Roma. Il manifesto fa la diagnosi sulla malattia dell’Occidente «minato dall’interno da una crisi morale e spirituale» che «non trova il coraggio per reagire». Non lo trova perché «ci sentiamo colpevoli del nostro benessere, proviamo vergogna delle nostre tradizioni, consideriamo il terrorismo come una reazione ai nostri errori», mentre «il terrorismo è un’aggressione diretta alla nostra civiltà e all’umanità intera». Il riferimento al confronto (non lo scontro) tra Islam/Occidente è il primo punto dell’agenda globale e ovviamente anche del manifesto ma subito, nel preambolo, è il Vecchio Continente a finire sul banco degli imputati: «L’Europa è ferma. Continua a perdere natalità, competitività, unità d’azione sulla scena internazionale. Nasconde e nega la propria identità». Al punto da fallire «nel tentativo di darsi una Costituzione legittimata dai cittadini». La scelta più importante del quinquennio del governo Berlusconi - l’alleanza con gli Stati Uniti - viene ribadita e si lancia l’allarme sull’Europa che «provoca una frattura con gli Stati Uniti e fa dell’antiamericanismo una bandiera».
Dopo il fuoco acceso dai fondamentalisti sulle vignette e il Profeta, dopo gli incidenti di Bengasi, dopo l’uccisione di don Santoro in Turchia, dopo i massacri di cristiani nel mondo islamico, dopo l’appello di Papa Benedetto XVI sulla libertà religiosa, il manifesto ha l’ambizione di tracciare le linee guida del conservatorismo liberale del nostro Paese.
La battaglia per il voto cattolico si è aperta da tempo, il Vaticano segue con molta attenzione e apprensione il dibattito politico. La conferma del Cardinale Camillo Ruini al vertice della Conferenza Episcopale è la scelta della continuità da parte del Papa, consapevole che l’Italia - dopo quanto accaduto in Spagna - è il baluardo da difendere contro il relativismo culturale. Su questo punto, il preambolo parla di «tradizioni messe in discussione», di «laicismo e progressismo» che «rinnegano i costumi millenari della nostra storia». La conseguenza è che «si sviliscono» i «valori della vita, della persona, del matrimonio, della famiglia. Si predica l’uguale valore di tutte le culture» fino a lasciare «senza guida e senza regola l’integrazione degli immigrati».
E’ il ritratto di un Occidente che - come dice Benedetto XVI - «odia se stesso» e per questo il manifesto del presidente Pera invita il centrodestra a «impegnarsi per superare questa crisi, dobbiamo impegnarci a sostenere e difendere i valori e i principi della nostra civiltà». Sarà lo stesso Pera domani a spiegare come e quali saranno i punti fermi fissati da un manifesto politico che sta suscitando molta attesa nel mondo laico e in quello cattolico. La Chiesa non fa il tifo per nessun partito, è neutrale nell’arena politica, ma nella battaglia per la difesa della cristianità e della libertà religiosa - di tutte le religioni - non farà alcun passo indietro. Chi segue con attenzione il dibattito politico, non ha potuto fare a meno di notare la sintonia tra il messaggio di Pera che a Firenze ha ribadito che il dialogo con il mondo islamico «si può svolgere solo in condizioni di parità e di reciprocità» e il Papa che il giorno dopo, nel discorso al nuovo ambasciatore del Marocco, cita in ben due passaggi il concetto di «reciprocità» e auspica che sia consentito anche nei Paesi arabi «l'esercizio della propria religione liberamente scelta». Solo dopo il messaggio del Papa Ratzinger, la politica italiana ha corretto la direzione di marcia e (forse) evitato una politica dell’appeasement pericolosa e controproducente.

Tanto da suscitare la disapprovazione di alcuni storici che hanno intravisto il rischio della «sindrome di Monaco», l’accordo che l’Europa strinse con Hitler nel 1938, accordo che non evitò la guerra ma portò fino all’orrore della «soluzione finale».

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