Una manovra economica che soddisfa il segretario della Cgil e il presidente della Fiat potrebbe apparire il primo tentativo perfettamente riuscito di quadratura del cerchio. In realtà, la legge finanziaria appena varata dal governo Prodi rende felici Epifani e Montezemolo a spese di milioni di lavoratori autonomi e dipendenti non sindacalizzati, e di milioni di imprese non confindustrializzate.
Nulla di nuovo, a dire la verità. Dallinizio degli anni Settanta lalleanza fra grande industria e sindacato confederale ha rappresentato una morsa paralizzante per gli altri attori delleconomia italiana. Questi avevano cominciato a trovare qualche spiraglio di attenzione negli anni del governo di centrodestra. Ritornati Prodi e Visco alle macchine, sono stati rimessi prontamente al loro posto, senza pietà. Carlo Sangalli, presidente della Confcommercio, ha confessato al Giornale daver appreso dellaumento dei contributi previdenziali a carico degli autonomi guardando Porta a Porta in tivù. Se ne faccia una ragione, questa è la concertazione del centrosinistra: 3 miliardi di maggiori entrate fiscali dagli studi di settore e 5 miliardi dagli aumenti dei contributi, contro 4,4 miliardi di aumenti retributivi al pubblico impiego.
Sè parlato tanto di imposte, finora. Cè però un altro capitolo della finanziaria che andrà analizzato con cura per gli effetti che potrà produrre sulle imprese, stavolta grandi, medie e piccole: il trasferimento forzoso allInps del 65% del Tfr non destinato a fondi pensione. Tutti sanno che il Tfr accantonato rappresenta per le imprese una fonte di autofinanziamento a basso costo: il rendimento è infatti pari al 3% (1,5% più il 75% del tasso dinflazione). Se, come appare inevitabile, tutte le imprese che perdono il Tfr accantonato dovranno rivolgersi alle banche per rinegoziare i fidi, allargandoli, dovranno adattarsi ai tassi di mercato, sette, otto per cento; o forse più, nel caso delle piccole imprese. Il flusso annuale del Tfr accantonato è pari a 12-13 miliardi di euro. Solo una modesta parte di tale cifra è stata indirizzata finora ai fondi pensione. Dunque, portando via il 65% dellinoptato, lInps potrebbe scippare alle imprese sei-otto miliardi di euro. Per farne che cosa? Si ipotizza il finanziamento di opere pubbliche. Si paventa la copertura del disavanzo, con un esercizio di contabilità fuorilegge. Speriamo in Bruxelles, che blocchi tutto.
La controriforma fiscale, lincremento delle tasse per 14 miliardi di euro «ufficiali», e per molto di più in termini reali, visto che i tagli sono spesso - in realtà - aggravi per i cittadini contribuenti, la miriade di microtasse e microbalzelli che infestano la finanziaria, fanno sì che questa manovra sia fondamentalmente recessiva. Renato Brunetta, che è stato consigliere economico di Palazzo Chigi fino a pochi mesi fa, calcola un aumento della pressione fiscale complessiva dal 40,6% al 43% del prodotto interno lordo. Una botta del genere non può non deprimere leconomia. Lo stesso governo ipotizza un calo della crescita del pil dall1,6% di questanno all1,3% nel 2007. Potrebbe andare peggio. Ma non doveva essere questa la «finanziaria per lo sviluppo»?
Tutti i centri internazionali di ricerca economica - dallOcse al Fondo monetario internazionale, alla Banca centrale europea - hanno chiesto costantemente al governo italiano di risanare il bilancio sul fronte della spesa pubblica, e non aumentando la pressione fiscale. Nelleconomia globale cresce chi più riduce le tasse ed allarga gli spazi di libertà economica. Prodi, Padoa-Schioppa e Visco si sono mossi in controtendenza con il resto del mondo, approvando una finanziaria sbilanciata fortemente sullimposizione fiscale, recessiva, autolesionista. In una sola parola, «antica».
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