Cultura e Spettacoli

MANTEGNA La rinascita del «classico»

Una mostra diffusa dedicata al genio del Quattrocento

Giorgio Vasari, autore delle Vite degli artisti con un debole per Firenze e i pittori fiorentini, non era rimasto indifferente alla pittura «un pochetto tagliente e che tira talvolta più alla pietra che alla carne viva» di Andrea Mantegna, il pittore padovano nato a Isola di Carturo nel 1431 e morto a Mantova nel 1506. Ammirava l’«invenzione difficile e capricciosa» di quegli scorci di figure «al di sotto in su». Ne aveva compreso bene il carattere, sottolineando le ardite prospettive di un’arte che intrecciava le formule più moderne del Rinascimento toscano e veneto con l’antichità classica. Figure di alabastro circondate da colonne, lesene, rilievi romani. Madonne levigate come statue antiche, colline metafisiche, santi trasferiti nel mito, ritratti imponenti e forti come icone. Opere che hanno fatto da sempre, di Mantegna, l’interprete del Rinascimento nelle terre del nord, allora crocevia di cultura e civiltà: Padova, Verona, Mantova e relativi territori.
Tre città, tre tappe di vita e lavoro, e, in occasione del quinto centenario dalla morte di Mantegna, tre sedi per un’unica grande mostra: 350 opere, tra cui 64 di Mantegna, arrivate da 140 musei del mondo. La prima tappa, nel Museo degli Eremitani di Padova, ripercorre il periodo di formazione e dell’inizio di attività, dal 1445 al 1460. Gli anni in cui il giovanissimo Andrea, figlio di un carpentiere, adottato come figlioccio dal capobottega padovano Francesco Squarcione, viene iscritto a soli dieci anni nella corporazione dei pittori locali. L’ambiente padovano, con l’antica Università, scienziati, umanisti, artisti, tra cui Donatello, è stimolante. Il giovane Mantegna lavora nella bottega del maestro sino al 1448 quando, resosi indipendente, affresca, con alcuni colleghi, la cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani.
A testimoniare questa precoce attività non c’è solo il recupero della cappella, distrutta nei bombardamenti del 1944, ma anche 70 capolavori di Mantegna e di altri pittori, messi a confronto. Dopo le quattro formelle bronzee con i Miracoli di sant’Antonio realizzate da Donatello per la Basilica del Santo, fondamentali modelli di modernità per ogni artista, sfilano tavole, tele, terrecotte, bronzi, raramente visti insieme. Il San Marco di Francoforte, dipinto da Mantegna neppure diciottenne, la sua bellissima Madonna col Bambino di Berlino, vari ritratti, il Polittico di san Luca di Brera, e tante altre opere, messe a confronto con tavole di Giorgio Schiavone, Jacopo Bellini, Vivarini, sculture donatelliane e di anonimi scultori padovani.
A Verona viene ripercorso il momento successivo, quando Mantegna, conclusi nel 1457 i lavori nella cappella Ovetari, accetta la prestigiosa commissione dell’abate Gregorio Correr di dipingere una grande pala per l’altare della basilica di San Zeno a Verona. Lo splendido dipinto, in attesa di restauro, è al centro della mostra nel Palazzo della Gran Guardia, insieme alla predella con Crocifissione, giunta dal Louvre, a disegni preparatori, riflettografie varie. Ci sono anche la Pala Trivulzio, eseguita per la chiesa di Santa Maria in Organo di Verona nel 1497 e cento tra dipinti, incisioni, miniature, medaglie, cassoni dipinti, utili a delineare il panorama della variopinta cultura veronese del tempo.
Alla fine del 1459 Mantegna, sollecitato già da alcuni anni dal marchese Ludovico Gonzaga a divenire pittore di corte a Mantova, vi si trasferisce per rimanervi sino alla fine, ad eccezione di due soggiorni in Toscana e a Roma. L’attività mantovana, durata dal 1460 al 1506, tanto da far di Mantegna un «pittor mantoano», come lo cita Vasari, è presentata nelle affascinanti Fruttiere di Palazzo Te e nel Museo di Palazzo Ducale, Castello di San Giorgio.
Alla ribalta, nelle due sedi, sono i rapporti dell’artista con i Gonzaga, presso i quali Mantegna lavora non solo come pittore, ma anche come esperto di antichità romane insieme ai due «antiquari» Giovanni Marcanova e Felice Feliciano. L’intento della rassegna di Palazzo Te è presentare il maggior numero di opere realizzate da Mantegna per i Gonzaga, ritornate in patria in questa occasione da lontani musei stranieri: ad esempio, le bellissime tempere monocrome simulanti bassorilievi in marmo e bronzo dorato, tra cui Didone e Giuditta con la testa di Oloferne, splendidi dipinti come il Cristo di Pietà sorretto da due angeli di Copenhagen o la Madonna delle cave degli Uffizi. Non solo: la mostra illustra l’eredità lasciata dal pittore a Mantova, attraverso le vicende artistiche seguite alla sua morte nel 1506 sino all’arrivo di Giulio Romano nel 1524. Ci sono maestri celebri come Lorenzo Costa e Francesco Caroti, ma anche meno noti o anonimi, autori di opere sorprendenti.
Al Castello di San Giorgio altre due rassegne approfondiscono i rapporti di Mantegna con i Gonzaga. La prima, al piano nobile, ruota intorno alla famosa Camera Picta, dipinta nel 1465, di cui vengono illustrati significati, personaggi, cultura. Tre le sezioni, la prima dedicata ai ritratti dei protagonisti e dell’entourage, la seconda ai documenti relativi alle varie fasi di lavoro, la terza alla biblioteca dei Gonzaga, che viene idealmente ricostituita, con libri, messali, manoscritti d’epoca. La seconda mostra, interessante e ricca, riguarda «La scultura al tempo di Andrea Mantegna». Quest’arte ha infatti un posto importante nel linguaggio di Mantegna, che dipinge proprio come uno scultore. Sessanta opere, note o inedite, marmi, bronzi, terrecotte offrono la possibilità di continui confronti tra pittura e scultura, delineando un panorama sinora mai proposto nell’Italia settentrionale del tempo.
mtazartes@tiscali.it
LA MOSTRA
Mantegna
A Padova (Musei Civici agli Eremitani), Verona (Palazzo della Gran Guardia), Mantova (Fruttiere di Palazzo Te e Castello di San Giorgio). Dal 16 settembre al 14 gennaio 2007. Promossa dal Comitato Nazionale per le Celebrazioni del V centenario dalla morte di Mantegna, presieduto da Vittorio Sgarbi.

Cataloghi Marsilio, Skira, Electa.

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