Marcello Veneziani contro i nuovi barbari della civilizzazione

Il politologo: il pigro e ricco Occidente è ormai giunto di fronte al baratro

Marcello Veneziani è un pensatore che percepisce la scomodità delle sue posizioni, al punto da accusare la Mondadori, casa editrice della sua ultima creatura Contro i barbari (pagg. 163, euro 16), di aver boicottato mediaticamente l’uscita del libro. Complice, va da sé, il salotto dell’establishment culturale italiano, in cui l’intellettuale conservatore non s’è mai saputo accomodare. Così Veneziani ha incassato da Lidia Ravera sull’Unità un inatteso consiglio per gli acquisti, a cui segue il nostro, più scontato.
Contro i barbari è una bella lettura che ti spinge a prendere posizione già dall’incipit: «Benedetto sia l’Islam più fanatico perché ha dissotterrato un’espressione sepolta dall’incuria e dal benessere: civiltà». Perché la civiltà europea, denuncia l’autore, è assediata da più fronti. I nemici esterni sono noti, i fondamentalisti islamici che hanno trascinato il Terrore sin dentro le zone più intime dell’Occidente, la furia cieca di chi ha dichiarato una guerra non convenzionale alla parte più sviluppata del pianeta, rendendola una «Civiltà Insicura» che alle minacce risponde in modo isterico, con i libri del «soldato Fallaci» e le teorie neocon sul conflitto globale contro il terrorismo.
Ma il vero oggetto polemico dell’autore, il bersaglio su cui riversa la sua arrabbiatura, sono i «nemici interni», i fomentatori della nuova guerra civile scagliata nel cuore dell’Occidente contro ciò che resta della tradizione culturale e civile europea: sono i militanti del «nichilismo», i profeti della dissoluzione di ogni legame sociale, territoriale e familiare, presentata come «liberazione dai vincoli» e liquefazione degli ultimi argini contro la modernità. Chi scambia, cioè, la difesa dei diritti civili per il diritto a una incivile anarchia delle regole. A fare massa critica, in questo caso, non ci sono solo i fenomeni più vistosi come la «trans-Spagna» di Zapatero, gli arcobaleni dei pacifisti, le battaglie laiciste contro il crocifisso o la dimensione pubblica della religione. Il nichilismo di massa si nutre di episodi più nascosti, pescati direttamente dall’osservazione dell’autore: il cadavere di un’adolescente seviziata, il sexy shop di fronte alla cattedrale, il santuario di Padre Pio ridotto a un supermarket della religiosità fai-da-te, le «legioni di fanteria del remake» che per fuggire il vuoto interiore si ricostruiscono i connotati, le legioni di spensierati vacanzieri che se ne vanno oliatissimi nel Golfo Persico, ignari di posare per una cartolina miscredente recapitata al musulmano di fronte a loro.
Peter Hahne l’ha definita «società del divertimento», Veneziani propende per gli adoratori del dio Kazzimiei. A questi ultimi dedica il suo grido di rabbia: «Non vergogniamoci di essere europei, occidentali, cristiani, mediterranei». Una civiltà, si spiega nelle pagine più dense del libro, non può ridursi a una debole difesa del benessere o a una santificazione senz’anima del progresso tecnologico: «la civilizzazione senza civiltà è una forma accessoriata di barbarie». Una civiltà incapace di difendere il senso della sua storia millenaria, è un ramoscello inerme destinato a essere spazzato via nel più breve tempo possibile. Se non sarà al Qaida, ci penserà qualcun altro proveniente da quel Sud del mondo che mastica odio verso il Nord opulento e impigrito. Non ci salveranno né la potenza militare degli Stati Uniti, sempre più gendarmi e sempre meno esportatori di diritti, né le teorie di qualche neocrociato ignaro che «un papa non può ridursi al ruolo di cappellano militare di Bush».
Non ci sono storie, siamo di fronte al baratro. E di fronte a una sfida di una tale portata occorre una risposta ambiziosa. Veneziani parla dell’urgenza di ritornare a un «patriottismo di civiltà» che ridoni senso, confini e prospettiva alla tradizione europea, consapevoli che «i tratti della nostra civiltà sono largamente combacianti con l’italianità», da Roma a Guglielmo Marconi.

Il progetto di rigenerazione dello spirito europeo, dunque, passa per una vera e propria battaglia culturale e di cittadinanza in cui impegnare, accanto alla classe politica, le grandi «agenzie pubbliche di massa»: la scuola, il cinema e la tv. Altrimenti, conclude l’autore, «di questa civiltà non resterà che un agglomerato stanco di tribù griffate». Dalle polis ai centri commerciali.

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