«Per me, destra significa porre al centro l’individuo»

«Per me, destra significa porre al centro l’individuo»

Scusi, Gaber? Mi saprebbe dire cos'è la destra, cos'è la sinistra? E già che c'è: a Genova il centro-destra vince facendo la sinistra oppure la destra-destra? E il trattino, oddio, ci vorrà il trattino? Per fortuna il bell'articolo di Massimiliano Lussana, giorni fa, ha riproposto, in luogo delle beghe interne, un tema cruciale per Genova e la Liguria, che da anni vorremmo vedere governate molto diversamente: come ragionano, e votano, gli elettori? Perché, come dice Renata Oliveri, «Si vince se si è in sintonia con gli elettori». Con la maggioranza degli elettori, aggiungiamo con un sospiro. Ora, se l'elettore il mattino delle elezioni si guarda allo specchio, si chiede «sono di destra o di sinistra?», risponde e poi vota coerentemente, «a prescindere», come direbbe Totò, non c'è dubbio che è con il timone ben saldo a destra che lo si convince a uscire di casa. Che poi a Genova si vinca, è un altro discorso. Ma si fa il risultato migliore. Se invece l'elettore pensa ai suoi problemi, e a quali partiti (a qualunque livello, anche nazionale) vi rispondano più o meno efficacemente, vota o si astiene di conseguenza.
E la realtà è che ci sono elettori dell'uno e dell'altro tipo, e tutti «hanno ragione»: quelli del senso di appartenenza o di identità («l'ideologia, l'ideologia, malgrado tutto credo ancora che ci sia, è il continuare ad affermare un pensiero e il suo perché...» canticchiava il solito Gaber) e quelli del pragmatismo o anche solo del mugugno («... ma io dico che la colpa è nostra è evidente che la gente è poco seria quando parla di sinistra o destra»). E allora? Viene in mente Battiato, feroce: «Ti muovi sulla destra e poi sulla sinistra, resti immobile sul centro e provi a fare un giro su te stesso, fingi di riandare avanti con un salto poi a sinistra con la finta che stai andando a destra...». Il ballo del potere. O il teatrino della politica. La mia idea è semplice ai limiti della banalità: proviamo a ripartire dai nostri principi, dai valori, e da un programma di metodo. Se i termini hanno ancora un senso, credo che «destra» dovrebbe significare porre al centro l'individuo, i suoi valori, la sua libertà, e farne discendere una società basata sul merito personale, l'uguaglianza dei punti di partenza, la concorrenza come strumento di efficienza e ricchezza, il rispetto delle regole, i doveri individuali, in un contesto in cui il ruolo del pubblico è sussidiario; «sinistra» vuol dire porre al centro la società, l'uguaglianza e il soddisfacimento pubblico dei principali bisogni, una certa flessibilità «inclusiva» (a fin di bene) delle regole, un ruolo del pubblico necessariamente preminente. Bene. Credo che Genova e la Liguria abbiano bisogno di molta «destra» per smantellare il sistema di potere dei partiti sempre al governo (locale), con i loro consulenti e affiliati, le imprese «amiche», eccetera. Per creare non un sistema uguale di segno opposto, ma un sistema nuovo basato sulla contendibilità delle idee e dei progetti, e la possibilità per imprese e cervelli migliori, locali e «foresti», di creare e sviluppare opportunità di vita e di sviluppo.
Bisogna cambiare metodi: semplificazione e trasparenza grazie anche alle nuove tecnologie (il cittadino al centro dell'attenzione); concorsi come regola generale per assunzioni, progetti urbanistici, servizi pubblici (l'efficienza e il merito come guida delle scelte pubbliche); risanamento finanziario pubblico (oggi la Genova pubblica vive alle spalle dei propri nipoti, con il quarto debito pro capite d'Italia, doppio di quello medio nazionale); tendenziale autosufficienza fiscale di ciascuna comunità (il federalismo come «antiparassitario»); trasparenza nelle scelte pubbliche, dalle candidature per le elezioni e le aziende pubbliche fino alle decisioni del sindaco e della giunta. Su questi pilastri, di principio e di metodo, non vedo divisioni fra elettori di centro e di destra. Se mai, fra un centro moderato, liberale e innovatore, e la sinistra conservatrice dell'occupazione partitica e clientelare della cosa pubblica. E persino all'interno della sinistra, nel cui ambito molti, rimasti comunque esclusi dalla spartizione, condividono ormai temi «storicamente» di destra: il merito, la salute dei conti pubblici, l'efficienza amministrativa. Di qui la ricetta: i nostri principi, valori e programmi possono parlare a tutti, con soluzioni credibili e apprezzate. Ma dobbiamo essere noi per primi intransigenti sui nostri principi. Non pensiamo di sostituire la lottizzazione di sinistra con quella di destra, per spartirci assessorati e poltrone in caso di vittoria. Dobbiamo introdurre procedure trasparenti per scegliere persone competenti, non amici degli amici. Non pensiamo di chiudere entrambi gli occhi sulla questione morale, derubricando tutto alla persecuzione della magistratura e della stampa nemiche. E così supereremo anche il dilemma, vagamente «morettiano», se ci si nota di più se facciamo quelli di destra ma regaliamo il centro agli avversari, oppure se facciamo quelli di centro appena appena un po' a destra ma lasciamo a casa gli elettori di destra.

Portiamoci dietro il bagaglio dei nostri principi, dei nostri valori, e dei programmi che ne discendono. Sono questi, non le pratiche della politica, che faranno uscire di casa gli elettori. Più di quanti ne abbiamo mai visti.
*senatore Pdl

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