Non si contano, negli ultimi trent’anni, le opere sulla crisi della modernità. Opposte scuole di pensiero, di destra e di sinistra, hanno posto sotto accusa il suo progetto, basato sulla convinzione illuministica che il progresso scientifico sia sufficiente per rispondere in modo esaustivo alle domande sul significato della vita. Di qui la denuncia del fallimento razionalistico - per non dire ateo - di questa idea, fallimento giudicato un esito ineludibile di una società che ha smarrito il senso della sua esistenza e dei suoi scopi.
Un autore, Leo Strauss, non sospetto di seguire la «moda» della critica alla modernità, costituisce oggi un punto di riferimento indispensabile a riguardo perché aiuta a interrogarsi sui problemi del presente. Tutto il suo pensiero, infatti, ruota attorno a questi temi, con una profondità di riflessione che non ha confronti.
Nato in Germania (Marburgo) nel 1899 e morto negli Stati Uniti (Annapolis) nel 1973, Strauss ha seguito il percorso di molti intellettuali ebrei fuggiti dalla Germania a seguito dell’avvento di Hitler. Dopo aver studiato con alcuni dei maggiori filosofi tedeschi dell’epoca - Cassirer, Husserl, Heidegger - emigra in Francia e in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, dove sarà docente di filosofia politica in molte università, dando alle stampe testi fondamentali. Con la presidenza di Ronald Reagan e di George Bush (padre) è assurto a grande visibilità, additato come uno dei veri maestri della cultura conservatrice.
Secondo Strauss, l’età antica era fondata sulla filosofia greca secondo la quale esiste un ordine naturale e una gerarchia di valori perenni capaci di edificare un regime giusto. Questo insegnamento dei classici, pervaso di saggezza e moderazione, è convissuto per secoli con la Rivelazione biblica. La convivenza conflittuale tra il principio razionale e il principio divino, tra filosofia e teologia, ha costituito la struttura portante dell’Occidente. La civiltà occidentale, infatti, diversamente da altre, ha mantenuto la tensione permanente tra queste due polarità, Atene e Gerusalemme, impedendo che l’una prevalesse sull’altra. In tal modo ha interpretato l’intima verità della natura umana, che non può risolversi in un’esperienza solo religiosa o solo terrena; e questa dualità ha costituito la caratteristica principale dell’Occidente e della sua vitalità.
Questo equilibrio è stato rotto dall’umanesimo ateo di Machiavelli (e in seguito da Hobbes, Locke e Rousseau), quando si è affermata l’idea che fosse possibile dar seguito alla convivenza umana costruendola sul solo principio della ragione, facendo prevalere la filosofia sulla Rivelazione. Da qui la convinzione che l’uomo sia il solo artefice del proprio destino perché in grado di vivere senza un superiore principio che lo trascenda. Viene meno l’eternità dell’ordine naturale e della gerarchia dei valori. Non si coltiva più ciò che ci è stato dato, ma si costruisce ex novo la propria vita: nasce il mito del progresso.
Si passa dalla legge di natura ai diritti naturali, e dunque dal regno della virtù alla singola libertà individuale, intenta soltanto a perfezionare se stessa. Ne consegue un percorso che sfocia dapprima in quella che Strauss chiama la prima ondata della modernità (Machiavelli, Spinoza, Hobbes, Locke), poi nello storicismo relativistico (tutto è destinato a mutare e dunque quello che vale oggi non vale domani), e infine nel nichilismo di Nietzsche, e nel predominio di una scienza avalutativa (così come è stata teorizzata da Max Weber). Tutte prospettive filosofiche e politiche che risultano inadeguate a conferire un senso autentico all’esistenza, ma sufficienti a disarmare l’uomo di fronte alla tirannide moderna, come è dimostrato dalla sua incapacità di capire e impedire l’avvento di comunismo e nazismo.
Quali sono state le responsabilità del liberalismo e del cristianesimo in questa lunga svolta epocale che ha posto l’Occidente in una crisi forse irreversibile? A questa cruciale domanda tenta di rispondere il maggior studioso italiano di Strauss, Raimondo Cubeddu, in Leo Strauss. Su cristianesimo e liberalismo, Marco Editore. Cubeddu analizza e pone a confronto il giudizio del filosofo tedesco su queste due entità, politiche e religiose. Il cristianesimo ha rappresentato, con San Tommaso, il massimo tentativo di costruire un ponte tra fede e ragione, tra filosofia e teologia; una sintesi non riuscita, perché non ha tenuto conto dell’irriducibilità delle due istanze. Lo conferma la posteriore secolarizzazione del cristianesimo attuata da Hegel, che non ha salvato la società europea dai suoi successivi sviluppi totalitari. A sua volta il liberalismo, che può essere definito come l’espressione politica più compiuta della modernità, non è riuscito ad andare oltre l’universo dei diritti individuali e perciò della conseguente prospettiva relativistica, la quale ha relegato la religione ad affare privato, a mera opinione. Il liberalismo ha secolarizzato il problema teologico-politico traducendolo in chiave economica nella convinzione, sbagliata, che la società civile possa definitivamente dissolvere quella politica.
Complessivamente, dunque, uno scacco generale che dimostra, per Strauss, la superiorità degli antichi rispetto ai moderni.
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