U na Milano così nota. Eppure così sconosciuta. Il Castello, il Duomo, la Galleria, la Torre Velasca, il grattacielo Pirelli, la Stazione centrale. Ma nelle immagini di Olivo Barbieri, le collaudate architetture di Milano fino agli anni Sessanta, come le realizzazioni degli anni più recenti (la nuova Fiera di Fuksas, lampliamento della Scala di Mario Botta, piazzale Cadorna ridisegnato da Gae Aulenti) assumono una dimensione totalmente nuova e straniata, ancorché siano perfettamente riconoscibili. È come viaggiare magicamente sospesi non molti metri sopra i tetti, oppure sfiorare a volo radente le cupole e le guglie, dotati di un potente cannocchiale che coglie anche lultima fra le centinaia di persone che affollano le vie e le piazze. Piazza del Duomo, ad esempio, appare come una minuziosa miniatura affollata di figurine che ricorda certe miniature medioevali o i quadri settecenteschi del veneziano Gabriel Bella.
Olivo Barbieri fotografa da un elicottero. «E non vi dico quanto è complicato - spiega - bisogna ottenere i permessi e poi sperare che il giorno disponibile sia anche un giorno di buona luce». Ma la fortuna aiuta i fotografi audaci e lo dimostrano le 25 straordinarie immagini di «Site specific_Milano 09» che è un libro (Silvana Editoriale, pagg. 72, euro 30) e contemporaneamente una mostra da oggi aperta alla Triennale fino al 25 novembre, la prima rassegna del progetto «A Different Altitude» di Barbieri e Ron Zacapa: un percorso fotografico in cinque tappe che propone la visione dallalto di altrettante città italiane. Dopo Milano, Firenze, Napoli, Catania e Genova.
Voi penserete: «Le solite foto aeree...» E invece no. «Il punto di vista di Barbieri varia - spiega nel libro Roberta Valtorta, direttore scientifico del Museo di Fotografia contemporanea -. Zenitale, talvolta, o invece più basso, tale da restituire una sorta di prospetto delledificio, come è nel caso del Duomo oppure del grattacielo Pirelli, oppure scorciato...». Ne risulta una città più di simboli architettonici che di architetture vere e proprie, di forte valenza culturale, una città di trasformazioni urbanistiche ed estetiche, in lenta, continua osmosi tra passato e futuro. Le fotografie non hanno didascalie, cosa che potrebbe risultare una mancanza. Ma è un errore voluto. Non importa il sito preciso, le immagini potrebbero anche appartenere a una città ideale, avulsa dalla quotidianità e dal contingente.
Olivo Barbieri lavora con una macchina digitale che raddrizza e corregge la prospettiva. Del digitale è entusiasta: «Mi ha affrancato da quelle valigie di pellicole che mi trascinavo appresso, sempre controllate in tutti gli aeroporti». E che di valigie si trattasse non cè da dubitare. Perfezionista maniacale, Barbieri fa seimila scatti per avere dieci foto di quelle che lui definisce «giuste».
Il digitale è stato dunque unautentica liberazione per questo fotografo carpigiano classe 1954 che dal 1989 ha cominciato a viaggiare in Oriente, seguendo un suo personale impulso che lo ha portato fino in Cina.
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