Michele Placido, un Pirandello riuscito a metà

Giovanni Antonucci

L'attenzione di Michele Placido per l'opera di Pirandello dura da qualche anno ma si è finora fermata a due testi minori, la novella La carriola e l'atto unico L'uomo dal fiore in bocca. In questo suo nuovo spettacolo, Io e Pirandello, in scena al Teatro Sala Umberto di Roma e in tournée Placido, che è anche autore dell'adattamento «cineteatrale», come egli lo definisce, ha legato la novella e il dramma non solo con le immagini e le voci dello stesso Pirandello, di Marta Abba e di Ruggero Ruggeri ma anche con la propria autobiografia. Il risultato è uno spettacolo un po' didascalico, da programma culturale televisivo di una volta dove, però, manca la sintesi fra la novella, una delle più programmatiche di Pirandello e L'uomo dal fiore in bocca, che, pur nei suoi limiti di pièce breve, è una rappresentazione della dialettica fra la vita e la morte, la prima che scorre inconsapevole, la seconda che incombe inesorabile sull'uomo. La carriola è frutto del Pirandello più astratto, che teorizza, seguendo la famosa interpretazione di Adriano Tilgher, su Vita e Forma, per poi ridurre tutto il suo discorso a un banale atto qual è quello del protagonista di far fare la carriola alla sua vecchia cagna.

Placido si impegna molto nel dare vita a La carriola, ma è un'impresa ardua anche per attori di più raffinato talento del suo. È più convincente ne L'uomo dal fiore in bocca, anche se non riesce a darci completamente la beffarda disperazione esistenziale del suo personaggio.

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