Dopo due turni di campionato, il pretendente numero uno allo scudetto, il Milan, è in fondo al baratro della classifica. Zero punti in condotta, 4 gol presi, due per volta, due schiaffoni puntuali senza provocare una reazione efficace, e uno solo marcato (da un centrocampista, Ambrosini, contro il Bologna). Le due sconfitte già rimediate, aggiunte a quel disastroso pre-campionato e alla umiliante prova fornita in settimana a Lugano, costituiscono più dell'isolato indizio per giungere alla prova-regina del caso Milan. Che non è assolutamente un mistero ma si può spiegare così a chi risulti ancora smarrito di fronte all'ennesimo ko subito dai Berlusconiani.
Ma come, con tutto quel “popodiddio” di mercato? Certo. Basta seguirci nel ragionamento. Punto numero uno: la condizione fisica generale del Milan è allarmante. Nel primo tempo di Genova, come col Bologna del resto, la squadra passeggia per il campo e appena i rivali ripartono a tutta velocità, subisce contropiedi letali che non si concludono solo per la ridotta precisione degli avanti di Gasperini (Gasbarroni in particolare). Punto numero due: schierare in un colpo solo Shevchenko (non gioca in modo continuo da 2 anni, ormai), Ronaldinho (idem come sopra da 6 mesi ed è tornato venerdì dal Sudamerica) e Kakà reduce da un lungo e fastidioso infortunio al ginocchio, non è una brillante idea. Ma il guaio, a parziale giustificazione di Ancelotti, è che forse non può fare di meglio. Perché con Inzaghi ko e Borriello alle prese con la rieducazione da intervento chirurgico (appena 2 allenamenti completi nelle gambe) non può inventarsi altro. Nella ripresa, poi, l'arrivo di Seedorf al posto di Dinho non modifica, se non tatticamente, la sfida.
È vero, è il Milan migliore ma quello precedente è talmente deludente da sembrare una “patacca”. Solo la presenza, vitale, di Borriello in attacco, fornisce l'idea di un attacco non più a due cilindri, ma capace di esprimere forza atletica e anche tiri in porta (almeno tre dell'ex idolo della curva genoana contro lo zero di Sheva uscito all'intervallo). Punto numero tre: sul piano tattico, il centrocampo schierato a tre nella prima frazione, viene sopraffatto da Milanetto, Juric e compagnia per i mancati recuperi di Ronaldinho, mentre la difesa concede, puntualmente, l'uno-due agli avversari sul limitare dell'area di rigore facendosi infilzare allo spiedo ora da Di Vaio ora da Sculli, che non sono Vavà e Pelè.
Lo zero rimediato in classifica e le due sconfitte senza alcun alibi, una protesta da sigillare, un torto da segnalare, portano dritti alla prima crisi dell'anno calcistico. Inutile far finta di niente: il Milan si sta avvitando su se stesso ma quel che è peggio non è in grado, con le sole forze a disposizione del tecnico, di invertire la tendenza. Perché le gemme della squadra, Dinho su tutti seguito da Sheva e da Kakà, per luccicare han bisogno di giocare, di recuperare lo smalto per sacrificarsi. Ed è questo il terribile difetto del gruppo: non conosce lo spirito del sacrificio, non s’aiutano più. La complicazione è questa: Ancelotti ha bisogno di tempo per risolvere, uno a uno, tutti i problemi ma non ne ha molto a disposizione. Se entro un paio di settimane la situazione dovesse precipitare (e domenica c'è la Lazio a punteggio pieno da affrontare a San Siro), l'epilogo traumatico dell'esonero, diventerebbe inevitabile.
Qui a Genova, per un tempo, il Milan-lumaca, porta palla senza riuscire a organizzare uno straccio di manovra.
Nella seconda frazione migliora l'impressione generale (Borriello è più tonico, Pato entra e punge) senza riuscire a mettere alle corde il Genoa che si difende in modo ordinato. Ecco, i guai del Milan finiscono col togliere spazio e gloria al Genoa tornato a vincere e a sorridere. Grazie non solo all'arrivo di Milito, ma anche alla corsa disperata di tutti i suoi umili esponenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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