Pamela Dell’Orto
«Milano così brutta e insieme così bella - come il suo cielo - è una città della quale ci si innamora. Perché è generosa». Perché ha accolto sotto la Madonnina «chiunque avesse buona volontà». Perché ha cresciuto «dal niente» i suoi figli più illustri, uno su tutti Angelo Rizzoli, da piccolo trovatello «martinitt», a gigante dell’editoria. Perché ha affascinato molti grandi della storia: da Radetzky, «ghiotto degli gnocchi che gli cucinava la sua amante milanese», a Stendhal «che volle la qualifica di milanese», alla divina Callas, che qui «ebbe trionfi e serenità». Perché «è una potente calamita».
Chi meglio di Mario Cervi poteva descriverla, questa città così generosa e piena di contraddizioni, così ricca di angoli nascosti e perennemente bistrattata dai suoi abitanti? Il nuovo volume fotografico Milano, in uscita lunedì con il Giornale (edito da Priuli&Verlucca, in vendita solo nelle edicole di Milano e provincia a 9,90 euro oltre il prezzo del quotidiano) si apre con questa «dichiarazione d’amore» di Cervi verso la città dalla quale - lui, cremonese di nascita - è stato adottato e cresciuto.
Una città il cui «fascino che dura nonostante tutto, è difficile da spiegare», come scrive l’ex direttore de il Giornale nella prefazione. Le sue «bellezze bisogna per lo più andarle a cercare, e quando vengono trovate incantano».
Tesori nascosti dietro un’immagine austera e apparentemente grigia. Tesori che questo volume (con le sue 127 pagine a colori) ci aiuta a scovare grazie alle fotografie inedite di Livio Bourbon e di Enrico Formica, autore di diversi reportage il primo, fotografo e artista il secondo. Immagini che ci accompagnano attraverso i monumenti più conosciuti e ci mostrano, allo stesso tempo, i capolavori nascosti. Dalla settecentesca Biblioteca di Brera, agli affreschi quattro-cinquecenteschi della chiesa di San Marco, ai rilievi medievali della basilica di Sant’Ambrogio. Senza tralasciare i simboli della contemporanieità, come la nuova Fiera di Rho-Pero. Sì, perché anche Milano è capace di rinnovarsi e di guardare al futuro. Nonostante, per dirla con Cervi, chi la abita lamenti «spesso la decadenza o il minor slancio della loro città rispetto agli anni del dopoguerra o rispetto ad altre metropoli (basta ricordare Barcellona)».
Un atteggiamento che l’editorialista de il Giornale definisce di «autoflagellazione». Perché questa sarà pure una città grigia, ma i suoi «titoli in campo culturale e sociale sono stati e sono - nel passato e nel presente - eccezionali. Si può discutere, più che mai dopo vicende come quelle di Tangentopoli - se meriti la qualifica di capitale morale». Di sicuro, «capitale del nuovo» è stata e rimane: «È stato detto che tutto in Italia, nel bene e nel male, nasce a Milano».
In fondo «Milano ha cento vite. Tante volte è stata distrutta e tante volte è risorta».
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