Gli «Attimi fuggenti» sulle tele di D'Aria

La mostra personale dell'artista leccese, tra Natura e pittura informale

Marta Calcagno Baldini

La pittura di Domenico D'Aria, Guagnano (Lecce), classe 1952, ma milanese d'adozione dall'età di 19 anni, è anzitutto un gesto informale, esplosivo. Un segno astratto, che sembra volare, non avere confini. Una pittura che «evoca antiche memorie di spazi, più mentali che fisici» come scrive il curatore di Attimi fuggenti, la prossima mostra di D'Aria che apre il 6 febbraio alla galleria «Sblu-Spazio al bello» in via Antonio Cecchi 8, fino al 21 (www.sblu.it, 02-48000291, inaugurazione martedì 6 febbraio h 18, dal lunedì al venerdì solo su appuntamento). Titolo non poteva essere più adatto per una mostra di D'Aria, le cui opere sono le trasposizioni astratte di idee, emozioni, sensazioni reali che l'artista ha provato: «Tutto può ispirarmi -dice al Giornale-. Poi però non trasporto l'emozione che ho dentro in modo esplicito, la rendo con una corporeità materica, di gesto, e di colore». In mostra si vedono opere che segnano tutto l'ultimo percorso pittorico di D'Aria, dal 2003 al 2019, quadri in cui «racconto gli ultimi 20 anni quasi della mia esperienza artistica, che comunque è da sempre legata a Milano». Sì, perché per il pittore, che ha studiato all'Accademia di Brera e che sotto la Madonnina ha ricevuto anche parecchi riconoscimenti (come l'Ambrogino d'oro a soli 25 anni, e il primo premio al Museo della Scienza e della Tecnica per le arti figurative, oltre a varie mostre personali in tanti spazi della città, gallerie e musei come la Permanente), sente un legame unico con la città lombarda: «nel tempo ho tagliato il cordone ombelicale con la Puglia -dice-. La amo, ma non posso resistere a Milano, mi ha accolto a braccia aperte, qui respiro libertà e ne sono follemente conquistato dall'eleganza e la riservatezza». Come se la non eccessiva invasività della città potesse permettergli di esprimere, nelle sue tele, il senso di libertà che lo anima e che emerge con grande chiarezza dai suoi segni. «Io sono per una cultura aperta -conferma il pittore-. Ho bisogno di confronti, di spazi, di movimento». Ecco quindi un segno fluido, che trasmette assenza di limiti e positività. Ottimismo, anche quando, non sempre, ma capita, le tinte della tela sono cupe e scure: «Io amo anche la nebbia e il grigiore della Lombardia-continua-. Sono colori che mi trasportano in un senso surreale meraviglioso, che per me diventa calore».

Per raccontare e per avvicinarsi alla pittura di D'Aria, quindi, bisogna avere chiaro il suo entusiasmo: il senso di indipendenza è una caratteristica imprescindibile di questo pittore, che è libero come il suo stesso nome suggerisce, al punto da non dare mai titoli ai suoi quadri «Per non definire troppo l'opera» e di firmarli sempre solo su retro della tela: «l'arte non si dovrebbe definire mai. È un continuo perpetuarsi di diverse vedute e sensazioni».

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