«April ògni gotta on baril». Ogni goccia di pioggia di aprile, il mese che «el fa i fior e magg el gh'ha l'onor», cioè il «mese che fa i fiori e maggio se ne onora», è un barile, infatti «april piovos ann ubertos» visto che «april ghe n'ha trenta ma se piovess trentun el farea dagn a nessun». Non è una filastrocca sui trenta aprilanti ma il suono di una pioggia come la lingua con cui le mamme ci cantano le prime delizie della nanna in culla. Il dialetto, che il dottor Giorgio Caprotti dispensa a piene mani in «Viaggio nel dialetto milanese», Premiata Libreria Milanese.
Diviso nella prima parte nei mesi dell'anno, è come un calendario dove al posto dei numeri ci sono le parole con cui gli avi coglievano l'importanza di giorni mai uguali, perché la natura è come Paganini «non ripete». La scrittura del dialetto che non spreca sms, twitter, messaggini in Facebook, ma sentenzia in massime per esporre solo la nuda, cruda verità. Se qualcuno si lamentasse: «Ma come piove!» in questo particolare 2013, si andasse a vedere cosa dicevano i vecchi milanesi a proposito di aprile che non a caso comincia con un pesce, il pesce d'aprile. E scusate: dove nuotano i pesci se non nell'acqua? Aprile ha sempre riversato tante gocce come «alla fiera campionaria di Milano, che si svolgeva dal 14 al 27, con una rassegna delle novità in ogni settore in lancio commerciale mondiale. Quant'acqua in quei giorni!» annota Caprotti forse anche un po'felice, sornione com'è, della diffusione dei raffreddori, vista la sua professione di medico!
E' bello divertirsi col dialetto, è come scuotere un tintinnabulum, perché è la lingua in cui il senso sta più nella musica che nel seme della parola, nella disposizione della voce a non essere solo lo strumento serioso che si passa informazioni, ma un campanellino in cui l'ugola gode delle sue qualità ballerine.
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