Il cuore malato di Martin guarito grazie alla sua seconda famiglia milanese

Il bimbo africano di 2 anni operato e ospitato da Enrico, Cristina e le figlie

Gioia Locati

Un bimbo in affido per tre mesi. Il tempo di permettergli di affrontare un intervento salvavita, impraticabile nel suo Paese. È arrivato dalla Guinea Bissau, Martin (nome di fantasia), due anni appena. «A maggio, pesava sei chili e 800 grammi - racconta la mamma affidataria - non riusciva a camminare a causa di un ritardo dello sviluppo. Quando è ripartito, a fine agosto, aveva quattro chili in più e correva». Cristina Galbiati cerca di nascondere l'emozione. Martin ha genitori e fratelli in Africa, una vita lontana anni luce dal capoluogo milanese. Ma quando sarà grande saprà di aver sconfitto la sua malattia grazie anche alla famiglia lombarda che lo ha ospitato: Enrico e Cristina Galbiati e le loro tre figlie, Marta di 20 anni, Letizia di 18 e Matilde di 14.

Il progetto di affido è gestito dalla onlus Kibinti, fondata nel 2005 da un missionario del Pime. Dal 2016 ha potuto estendersi grazie ai contributi delle Regioni Lombardia e Veneto. «I bambini in grado di affrontare il viaggio sono selezionati nella nostra casa famiglia in Guinea Bissau (perché alcuni sono troppo piccoli o troppo malati) - spiega Daniele Mariani, presidente dell'associazione - Questo progetto si occupa delle cardiopatie congenite o da streptococco. Grazie ai fondi regionali che supportano le spese mediche quest'anno riusciamo a ospitare 11 bambini (nel 2016 sono stati 12). Gli interventi si svolgono negli ospedali Niguarda, Papa Giovanni di Bergamo e Borgo Trento di Verona». C'è anche un'associazione che sovvenziona i viaggi, la Fly Angels ma il cerchio non si potrebbe chiudere senza l'aiuto delle famiglie. Che, spesso, si rendono disponibili all'affido grazie al passaparola.

«Abbiamo conosciuto l'iniziativa durante una serata in parrocchia - ricorda Cristina - ho la fortuna di lavorare da ottobre a giugno, sono psicomotricista in una scuola materna, perciò, nei mesi estivi, avrei avuto tutto il tempo da dedicare a Martin. La onlus in ogni caso supporta le famiglie per qualsiasi necessità. Le nostre figlie sono grandi, così, nei 15 giorni di degenza ospedaliera, ci siamo potuti alternare». Ma c'è anche chi prende un'aspettativa dal lavoro per occuparsi dell'operazione dei piccoli. «Quello che viene subito detto è che l'intervento potrebbe non riuscire - dice Cristina - Insomma, ti preparano al peggio. Noi siamo stati fortunati. Poi, Martin è stato bravissimo. Si è ambientato da subito, ha sempre dormito e mangiato. Prima del suo arrivo ci erano state insegnate alcune parole del suo vocabolario creolo, lui non parlava ma ci siamo sempre capiti. Diciamo sempre che per noi, Martin, è stato un catalizzatore di serenità. Amici e vicini hanno condiviso con noi tutto ciò che potesse essergli utile, dal passeggino ai giocattoli. Quando uscivo con lui a comprare il pane ci mettevo due ore. La gente mi fermava per strada, i negozianti si interessavano. Grazie a lui abbiamo ritrovato amici che non frequentavamo più da anni, Martin era diventato il pretesto per organizzare aperitivi e cene. In casa, le ragazze si concentravano di più nello studio, acceleravano le commissioni per riuscire a dedicargli tempo».

Martin aveva un difetto intraventricolare che si ripercuoteva sulla circolazione del sangue, non era sofferente ma molto esile. «Dopo l'intervento ha affrontato due giorni di terapia intensiva, in isolamento. Ha avuto una ripresa incredibile.

È rimasto con noi tutto il tempo dei successivi controlli e ha imparato a camminare subito perché i suoi muscoli avevano acquistato forza. La malattia di Martin si è risolta nel tutto, non sempre accade. Così, tre settimane fa, lo abbiamo salutato. D'ora in poi lo sosterremo a distanza».

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