L’agonia di Piazza Affari tra fiere, mostre e capannoni

L’agonia di Piazza Affari tra fiere, mostre e capannoni

Tende, tensostrutture, stand, fiere, aiuole, aree relax con tanto di piante e ombrelloni. Nei giorni di stanca macchine, furgoni e motorini. Benvenuti nel suk di piazza Affari, dove le manifestazioni fieristiche più varie hanno preso brutalmente il posto delle contrattazioni gridate degli agenti di borsa. La piazza, un po’ nascosta, tra corso Magenta e Cordusio, un esempio di architettura fascista, è diventata lo «sgabuzzino» di Palazzo Marino. Tradotto: una piazza centrale dove fare quello che non è consentito in altre più in vista. Ogni riferimento a piazza Duomo, piazzetta Reale, piazza Santo Stefano, via Mercanti, via Dante, corso Vittorio Emanuele è puramente voluto. Se Palazzo Marino, infatti, a un anno di distanza dal suo insediamento e colpito dall’ennesima polemica sull’utilizzo della piazza simbolo della città, si è deciso a varare un codice del decoro per l’utilizzo della piazza della cattedrale, così non è per altri luoghi, meno di passaggio, come piazza Affari.
La logica del nascondere la polvere sotto il tappeto premia. Come dire per fare cassa con la tassa di occupazione del suolo pubblico concediamo la piazza della Borsa invece che piazza Duomo, altrettanto centrale, ma meno in vista. Non è certo un mistero che l’amministrazione arancione sia al verde, ma forse non farebbero male regole seppur minime anche nel concedere i luoghi pubblici per manifestazioni fieristiche di qualsiasi tipo, che non tengono minimamente conto del contesto e dell’estetica dello scenario urbano. E dire che la piazza tra Palazzo Mezzanotte, Palazzo Turati e la galleria Buffoni ha una sua coerenza architettonica monumentale che se da un alto viene sfregiata da tendoni di plastica bianca e percorsi relax, quando non è adibita a parcheggio, per altri versi è stata valorizzata da palazzo Marino con l’installazione permanente del Dito di Cattelan, la prima e unica opera dell’artista esposta in un luogo pubblico. Tutto è pronto per la donazione di LOVE, scultura di marmo proprio per piazza Affari, la cui delibera dovrebbe passare questa mattina all’esame della giunta.
Un’altra destinazione che Palazzo Marino aveva pensato per una piazza che «muore» alle 19, quando chiudono gli uffici, era di traslocare qui la movida «molesta», quella che rovina il sonno ai residenti delle Colonne di San Lorenzo e del Ticinese. Impossibile mettere il silenziatore a suonatori di chitarre e bonghi che animano le notti estive del centro storico? Legare le mani a imbrattatori e writer, vandali vari? Dopo l’esperienza complessa dell’estate scorsa, in cui la giunta si è dovuta confrontare con il popolo della notte nei fatti e non a parole, l’idea che la zona degli uffici ospiti la movida, sta trasformando in realtà. Traslocare in una piazza altrettanto monumentale ma non abitata gli avventori di locali e pub in modo che possano suonare e divertirsi senza turbare il sonno e il risveglio dei loro concittadini. Così l’assessorato al Commercio pensava appunto di autorizzare camion bar, furgoni e furgoncini per la vendita di bibite per sopperire alla mancanza di locali nella zona.
«Mi sembra una buona idea - commenta Philippe Daverio, critico d’arte e assessore a Cultura e Tempo libero nella giunta Formentini - la città è un flusso e la movida è governabile, anche se a Milano la vita di strada è di difficile comprensione. Qualsiasi cosa serva a vitalizzare piazza Affari, che muore parallelamente alla crisi delal borsa e quando chiudono gli uffici, è ben venuta.

Ma l’amministrazione, una volta decisa la vocazione di un luogo, deve accettarne le conseguenze: se si sposta la movida in piazza Affari non si può pretendere che la gente parcheggi a Lampugnano. La piazza sarà invasa dai motorini e questo, per esempio, va previsto».

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