Tre passioni: l'editoria, la politica e la cultura. E su tutte, Milano. In passato Sergio Scalpelli si definiva ironicamente un «comunista liberalizzato», poi ha sostenuto la grande stagione del riformismo socialista, è stato un brillante assessore alla Cultura con Albertini e più di recente ha simpatizzato per la scommessa renziana. La sua traiettoria in fondo, rispecchia quella di Milano.
E allora Scalpelli, come vede Milano oggi in questa inaspettata crisi? Ha le energie per risollevarsi?
«Sono molto ottimista. Credo che con l'autunno ci sarà un'esplosione di voglia di fare e di vitalità. Sono convinto che
Draghi le stia azzeccando tutte e resto esterrefatto quando vedo che c'è il minimo dubbio nel valutare il confronto fra Draghi-Figliuolo e Conte-Arcuri. Draghi fa bene a guidare le riaperture. Un Paese che fa 500mila vaccinazioni al giorno deve guardare alla normalità».
C'è molto da fare.
«Certo serve un sistema di sostegni per i più colpiti dalla crisi e per le aree di maggior difficoltà. Quelli che erano mainstream e hanno sofferto, devono subito ritrovare la vocazione di Milano internazionale, capitale del turismo d'affari, città dell'innovazione, del digitale e delle start-up. Credo che ci sarà una forte spinta del genere, anche per questo vorrei impegnarmi nella vita pubblica, credo che ci sarà una domanda forte in questa direzione, un gran fermento».
Albertini l'ha ringraziata, nella lettera con cui si è chiamato fuori dal voto
«Ne ho parlato a lungo con lui, siamo molto amici. Se si fosse candidato io sarei stato comunque pancia a terra nel sostenere una lista riformista ma Albertini è stato un ottimo sindaco, capo di una giunta che ha segnato l'inizio del cambiamento della città, e non sarei mai andato a un dibattito contro di lui, non mi sarei esposto in prima persona. È stato un ottimo sindaco, lo pensa anche Sala, e forse la cosa è reciproca, poi la politica è un altro discorso».
Albertini potrebbe ripensarci?
«Non l'ho più sentito ma la lettera mi pare molto tranchant, mi sembra difficile che possa tornare indietro ora».
Di quella giunta faceva parte anche Maurizio Lupi.
«Gli voglio bene e lo stimo, ma nel caso di Maurizio il discorso prescinde da quella fase. Di quella giunta ho fatto parte e l'ho sempre difesa, Lupi è un amico, e ha un ottimo rapporto con Sala. Ma io sto da un'altra parte».
Come vede Salvini da lì?
«Bisogna vedere cosa prevale in lui. L'ingresso nel governo Draghi ha rimesso al centro l'idea di un sistema produttivo del Nord da tutelare come traino del Paese, cosa che si era persa con un certo meridionalismo d'accatto. Salvini ha due sfide davanti: capire se portare la Lega nel Ppe - e la tela che sta tessendo Giorgetti induce a fare della Lega un pezzo del campo popolare-conservatore - e intercettare una vocazione di governo. La tenacia con cui ha voluto Albertini fa pensare che riesca».
E il Pd? A Milano c'è il Pd più di sinistra d'Italia. Non vorrei farla polemizzare con Majorino...
«Penso sia un bravissimo dirigente politico, potrebbe essere il capo della sinistra Pd, è il più attrezzato, è un socialdemocratico di sinistra. Il dramma del Pd, a cui mi ero anche avvicinato, non è Milano, ma l'ossessione di cacciare il fantasma di Renzi».
E lei, adesso, in cosa è impegnato?
«Dopo 20 anni si è conclusa un'esperienza enorme, ho avuto la fortuna di partecipare alla nascita e all'evoluzione di un'azienda pioniera delle reti in fibra ottica, una scommessa nient'affatto scontata 20 anni fa, nata non a caso a Milano e divenuta una storia industriale importante, l'unica del tempo della new economy che si è confermata come realtà. Adesso torno ai miei amori».
Quali?
«L'editoria culturale intanto. Do una mano agli amici de Linkiesta, che è il giornale non del partito ma dell'agenda Draghi. Il secondo è il Centro internazionale Brera: aperto un mese prima del primo lockdown voglio che diventi un punto di riferimento della cultura riformista. Terza cosa, continuo a pensare che sia buona, la nascita di un polo liberaldemocratico».
Il suo disegno.
«Penso che ci sia un'area centrale decisiva per il Paese, i sondaggi la accreditano del 10-15% e c'è uno spazio creato dai gravi errori del Pd e dalle difficoltà dell'area centrale del centrodestra. Vorrei sperimentarlo nelle città e sto dando una mano a Milano per una lista con forze civiche politiche che sostenga Sala. Se Calenda va sopra il 15% a Roma, se Conti vince a Bologna, se a Torino e Napoli nasce e se a Milano una lista del genere ha successo è chiaro che è nato l'embrione del partito liberaldemocratico».
Il Pd alleandosi coi 5 Stelle va in un'altra direzione.
«Totalmente antitetica. Potrei dire che questo disegno viene rafforzato da questa assoluta idiozia del Pd di consegnarsi non al populismo ma al nullismo assoluto dei 5 Stelle, la cosa peggiore capitata all'Italia dopo il fascismo. Egoisticamente potrei dire che ci aiuta, ma non aiuta il Paese».
Sala l'ha capito?
«Penso che uno come Sala, con la sua formazione, che ha scommesso
sull'internazionalizzazione di Milano, in cuor suo sappia bene che non puoi avere quella vocazione e amministrare coi 5 Stelle, che sono il peggio del peggio e infatti a Milano non hanno mai avuto alcun impatto né seguito».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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