Dopo l'apertura di stagione con Lohengrin, e due mesi spesi nel nome di Giuseppe Verdi (con Falstaff e Nabucco), Richard Wagner torna alla Scala con L'Olandese volante. È un nuovo allestimento coprodotto con i teatri di Zurigo, dove ha debuttato in dicembre, e Oslo, dove si chiude il tour, nel 2014.
Approda così giovedì 28 a Milano la vicenda dell'Olandese che vaga per mari, inquieto e maledetto, alla ricerca della donna che gli darà la serenità sciogliendo il maleficio. Siamo tra i fiordi scandinavi, e qui incontra Daland, navigatore norvegese, che gli promette la figlia Senta. Con l'Olandese è idillio istantaneo. Lei ne è fulminata, pianta il fidanzato Erik. Ma verrà ripudiata dall'Olandese poiché accusata ingiustamente di infedeltà. Tragica fine con lei che - secondo il libretto - si butta in mare per dimostrare la forza dell'amore.
Alla Scala, invece, Senta (Anja Kampe) si dà un colpo di pistola. Così vuole il regista Andreas Homoki che disegna una donna forte, emancipata, affascinata da quell'uomo diverso da tutti, eccezionale, unico. E per lui preme il grilletto. L'Olandese, con Homoki, diventa un armatore, un uomo d'affari. Così pure il padre di Senta è un avido mercante che vende la figlia (dopotutto ben contenta) a quello sconosciuto, «e trova ciò assolutamente normale», dice il regista. L'Olandese volante è un'opera d'acqua, fatta di mari e di navigatori, ma alla Scala non si vedrà né il mare né le navi né i vascelli: tutto ciò è nell'anima dei personaggi. Che talvolta fluttueranno, così come il mare sarà ricordato con grandi quadri marittimi. Il regista ha spostato la storia nella seconda metà dell'Ottocento, epoca della seconda rivoluzione industriale, del Positivismo, delle conquiste scientifiche, dell'avvento della luce elettrica, piroscafo, telegrafo, Canale di Suez e tunnel del Moncenisio. È la fase dell'imperialismo che spinge l'Europa ad appropriarsi degli ultimi scampoli del globo sfuggiti alla precedente colonizzazione. Domina la mentalità materialistica e capitalistica, quella che - spiega il regista - porta Daland (Ain Anger) a vendere la propria figlia all'Olandese che a Milano sarà l'ottimo Bryn Terfel. In questo Olandese milanese, diretto dal sassone (come Wagner) Hartmut Haenchen, è viva l'idea del viaggio inteso come scoperta dell'ignoto, per questo Homoki ha ambientato l'opera in una fase storica in cui il viaggio era un'avventura, implicava il rischio di non poter tornare. C'è l'attrazione e il timore per le terre lontane, specie esotiche.
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