Olmi racconta Martini nel film in Duomo: "Era anche un fanciullo"

Il regista e il suo documentario appassionato: "Avevo timore, come per Papa Giovanni"

Olmi racconta Martini nel film in Duomo: "Era anche un fanciullo"

«Vedete, sono uno di voi». È Carlo Maria Martini ma anche Ermanno Olmi e la storia di Milano, dell'Italia e di un mondo che ha per capitale Gerusalemme. L'io narrante del regista offre la voce a Carlo Maria che si racconta da bimbo fino alla morte nel letto dell'Aloisianum, la casa dei Gesuiti di Gallarate che ospitò i suoi ultimi tre anni. Lì morì il 31 agosto 2012 dopo una breve agonia.

«Il Duomo è il posto più adatto per presentarlo» dice Olmi anticipando il suo ultimo lavoro, proiettato ieri sera in cattedrale. «Avevo timore di fare un film su Martini. Avevo fatto E venne un uomo su Papa Giovanni e fu accolto con simpatia ma senza l'entusiasmo che ci si aspetta alla fine di un film che è costato fatica». Era il 1965, subito dopo il Concilio, quando il regista in continua ricerca di fede raccontò il Papa buono. Adesso ecco colui che non diventò mai Pietro, anche se in molti l'avrebbero voluto.

Olmi lo dipinge con emotività dirompente, che a tratti si mangia la storia debordante nelle immagini, dalla guerra ai calci in faccia al Duce in piazzale Loreto alla periferia di Milano ricostruita da Berlusconi fino ad Agnelli teorico del profitto, a Mani pulite e al terrorismo, alle bombe in Israele, alla benedizione in ebraico dell'amico rav Giuseppe Laras.

Olmi intervistò Martini al suo arrivo a Milano da vescovo, nel 1980: «Capisco la simpatia che suscitava. Ricordo come mi mise in imbarazzo per come ascoltava me che ero una riserva». Presero a incontrarsi due volte l'anno. «Una volta mi chiese: che cosa sta facendo?. E io: un film a rischio perché è sulla morte di un giovane e la sua agonia dura quaranta minuti. Lui rispose: uhhh. Aveva reazioni fanciullesche».

Nel documentario che non è un documentario ma un film appassionato dove c'è tanto Olmi quanto Martini, il piccolo Carlo ha spazio grande. «Mia madre ci teneva a farci fare la Comunione il primo venerdì del mese. E poi c'era la brioche col cioccolato e questo serviva anche per segnare la solennità di questo giorno» racconta Olmi- Martini sulle immagini di una raffinata pasticceria di Torino, città natale del padre gesuita.

Marco Garzonio, coautore della sceneggiatura ispirata al suo libro «Il profeta», dice che una famosa dichiarazione attribuita a Martini sul Corriere nel 2011, «la Chiesa è indietro di 200 anni», non era precisa. Per difetto: «Il testo originale parlava di 300 anni, è stato prudentemente corretto».

Non si sa se è Olmi o Martini o il sogno di Olmi su Martini quando il fanciullo Carlo ricorda la famiglia sfollata ad Orbassano. «Noi ragazzi eravamo contenti di svegliarci di notte - dice la voce -. Volevamo vedere gli aerei che andavano a bombardare la Fiat. Speravamo che venisse bombardata la scuola». Avvenne. In sala c'è Cesare Romiti, storico ad della Fiat e amico del regista. Nel settembre del 1992 sedeva accanto a Martini, in corso Venezia, a recitare un mea culpa degli imprenditori «del tutto imprevisto».

Il film finisce con una

benedizione impartita con voce rotta dal sacerdote Martini mai ammutolito dal Parkinson. È un documento vero e la fatica della malattia spezza l'anima. Come la poesia struggente di un documentario che è soprattutto un bel film.

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