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Palazzo Reale, dopo Tiziano arrivano gli sberleffi di Fo

Palazzo Reale, dopo Tiziano arrivano gli sberleffi di Fo

Dopo Tiziano Vecelio, tocca a Dario Fo restituire, si fa per dire, lustro e «identità» a Palazzo Reale; ovvero il luogo che, nelle intenzioni dell’assessorato alla Cultura, dovrebbe finalmente tornare ad ospitare solo grandi e prestigiose mostre storiche. E allora ecco «Lazzi, sberleffi e dipinti» (questo il titolo della mostra che si apre il 24 marzo) del premio Nobel che, per chi mai non lo sapesse ancora, ha dalla sua anche una prolificissima attività pittorica. Tant’è che infatti, saranno oltre 400 le opere del grande Guitto che verranno esposte nelle sale del più importante spazio espositivo cittadino, tra arazzi, acrilici, collages, burattini, marionette e oggetti di scena: «a testimoniare l’inesauribile e imprevedibile creatività di Fo» ha sottolineato l’assessore Boeri durante la presentazione di ieri alla presenza del drammaturgo e di Franca Rame, inseparabile compagna di vita e attività artistica. «Colmiamo oggi, con un ritardo ingiustificato, un debito ingiustificato di fronte a una delle più grandi personalità dell’arte internazionale che ha vissuto e lavorato a Milano» ha specificato l’assessore. Non è tuttavia chiaro quale sia il debito nei confronti di un artista ampiamente celebrato non solo sotto la Madonnina e che solo due mesi fa ha riproposto sul palcoscenico dello Smeraldo una delle sue opere teatrali più celebri e trite: «Mistero Buffo». Piuttosto non è chiara la ragione per cui, se proprio era doveroso celebrare ancora una volta l’inventore del «grammelot», Milano debba farlo non su un grande palcoscenico teatrale ma in uno spazio deputato alle arti plastiche, in particolare quelle dedicate alla memoria storica. E il valore storico e artistico dei dipinti del poliedrico Fo certamente non pareggiano i suoi meriti performativi. Ma è lo stesso Guitto a precisare che quella di Palazzo Reale non sarà una mostra come le altre, ma si inaugurerà nella veste di una «bottega d’artista» che, oggi in anteprima (su prenotazione), darà la possibilità di ammirarlo proprio mentre sta creando. «Voglio mostrare ai ragazzi ciò che non conoscono: la satira, l’oscenità e i paradossi che esistono anche nella pittura alta, in Michelangelo per esempio». Paragoni arditi, ma tant’è: la bottega rinascimentale di Dario Fo sarà un work in progress per raccontare ai milanesi «l’arte che si unisce al teatro», in un’esposizione che infatti affiancherà ai suoi variopinti arazzi, filmati e scenografie teatrali. Vedremo, nella speranza che il debito di riconoscenza da pagare non sia nei confronti di una cultura che in Italia, unico caso nelle democrazie occidentali, non smette mai di indossare casacche politiche, da sinistra a destra. Anche perchè di debiti di riconoscenza da saldare Palazzo Reale ne avrebbe eccome.

Ben prima dei lazzi su tela di Dario Fo, i milanesi apprezzerebbero degne celebrazioni di quegli artisti che nel dopoguerra hanno dato lustro e internazionalità alla nostra città e che invece si è costretti a veder esposti altrove. Tanto per fare qualche nome: Piero Manzoni, Lucio Fontana, Bruno Munari, Mario Sironi, Ennio Morlotti, Luciano Fabro, eccetera.

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