«La cosa che più mi colpisce di Milano? La grande voglia di creare nuove realtà, di guardare avanti per cercare sempre di innovare. Il pensare sempre a come migliorare la nostra vita». Il generale di brigata Antonio Pennino lascia palazzo Cusani e il ruolo di comandante militare dell'Esercito Lombardia.
Generale Pennino, cosa le mancherà di Milano?
«L'effervescenza delle idee. Non la conoscevo e ho scoperto la sua grande capacità di mettere insieme la voglia di tutti di fare qualcosa di importante».
Non conosceva Milano?
«Se non la conosci pensi sempre a quella dei film degli anni Settanta con il cumenda ».
E invece?
«Milano oggi è la città dei grattacieli, dei palazzi meravigliosi, dei giardini nascosti».
È molto cambiata in questi tre anni in cui lei c'è stato.
«Si è creata una straordinaria armonia tra la vecchia città e le grandi strutture moderne come i grattacieli con la perfetta simbiosi di acciaio, legno e vetro. Basta guardare a come si è perfettamente inserito quello Unicredit. E del resto il loro slancio gotico verso l'alto era già nelle guglie del Duomo».
Questo cosa significa?
«Che a Milano la propensione al nuovo si fonde sempre con la cultura che la pervade».
Qual è il dna della città?
«La sinergia tra istituzioni, servizi perfettamente efficienti e l'anima sociale di cui è sempre impregnata. E con Expo è apparsa chiara la sua grande capacità organizzativa e la grande vocazione internazionale».
Cosa significa secondo lei essere militari oggi?
«Il lavoro dei genieri dell'esercito che questa estate su richiesta di prefetto e Comune in appena due settimane hanno ristrutturato il Dopolavoro ferroviario per farne un centro di smistamento nel pieno dell'emergenza profughi».
C'è stato anche un grande impegno per l'Expo.
«Da maggio abbiamo contribuito alla sua sicurezza, ma anche a quella degli aeroporti di Malpensa, Linate e Orio al Serio. Oltre a stazioni, luoghi di culto e consolati a rischio».
Si dice mille, forse millecinquecento uomini.
«Schierati in sole 24 ore, visto che l'avviso ci è stato dato solo il 28 aprile. L'approvigionamento dei padiglioni di notte è stato scandagliato dai militari che sono diventati un fiore all'occhiello del sistema sicurezza».
Nell'agosto 2008 è partita l'operazione Strade sicure.
«In collaborazione con le forze dell'ordine pattugliamo le città e sorvegliamo i punti più a rischio indicatici dai prefetti. Nel 2014 parliamo di 4.200 unità messe a disposizione dei prefetti di ventinove province».
Un bilancio?
«Io dico che sono i numeri a darci ragione».
I concorsi attirano sempre più aspiranti militari.
«Abbiamo la grande responsabilità di guardare al futuro dei giovani che vengono a fare esperienza da noi: il 60 per cento trova una collocazione».
E il resto?
«Organizziamo corsi di riqualificazione con la Regione e le aziende per garantire l'inserimento nel mondo del lavoro».
Andrà a capo di quella che è l'università dell'esercito.
«Una sfida importante. La formazione è diventata fondamentale per qualsiasi organizzazione. E questo è un dovere verso i nostri giovani».
Che senso ha oggi l'esercito?
«Le forze armate sono uno strumento della politica dello Stato. Per questo devono essere parte della società».
Palazzo Cusani, con tutte le sue iniziative anche culturali, rappresenta a Milano questo collegamento?
«Il dialogo con la città per noi militari è fondamentale».
Nel 2006 lei è stato per tre anni addetto per la Difesa all'ambasciata italiana in Pakistan, un crocevia
della nuova geopolitica.«Basti dire che lì gravitano Afghanistan, Golfo Persico, gli interessi della cina, l'India, l'Arabia saudita, l'Iran. Lo scontro tra sciiti e sunniti. E il 90 per cento dell'oppio di tutto il mondo».
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