Il sogno di Albanese: «Aspetto un invito da regista alla Scala»

Il sogno di Albanese: «Aspetto un invito da regista alla Scala»

«Ho un gran peso sulla testa. In quest'abito m'imbroglio…», e chi lo ferma più, Antonio Albanese: un fiume canoro in piena. Canta, disinvolto, un'aria di Gioachino Rossini e, arrivato in fondo, si premura di sottolineare: «conosco tutta l'opera, sa?». Insomma, Albanese si diverte parecchio con la lirica, debuttò nell'opera nel 2009, alla Scala, ed è tornato alla regia lirica alla fine del 2013 con il Don Pasquale di Gaetano Donizetti, a Verona. In questi giorni è impegnato con lo spettacolo «Personaggi», la galleria degli oramai classici della Commedia dell'arte in salsa Albanese. Quindi la scorribanda dei vari Sommelier, Epifanio, Alex Drastico, Cetto La Qualunque, e il nuovissimo analista delle gestioni integrate. Questo mese, i Personaggi raggiungono città lombarde, a partire da Brescia (1 marzo), Brugherio (7), Legnano (8) e Lodi (28).
La lirica è finita in questi suoi Personaggi?
«L'esperienza di Verona mi ha portato un camion a rimorchio di energie. Vanno in scena i miei soliti personaggi, ma sono più energici. Ogni volta che riprendo un mio spettacolo, torno con pensieri diversi».
Si è divertito all'opera?
«È una forma d'arte complessa, dove c'è musica, fisicità , voce. E' una grande festa e un momento di aggregazione».
A Verona, con quei muri tappezzati di bottiglie, filari di vigne e degustazioni, abbiamo pensato al suo Sommelier…

«In realtà pensavo a Verona, città di vini. C'era Amarone dappertutto».
Lavorò anche alla Scala. Che ricordo ha?
«Cosa vuole, lavorare alla Scala è come vincere un premio internazionale. È un piacere anche solo entrarci. Quando posso seguo una produzione».
Fra le più azzeccate che ha visto?
«Falstaff di Robert Carsen. Una meraviglia».
Tornerà alla regia d'opera?
«Spero presto, aspetto inviti. Vorrei poi che iniziasse a circolare anche questo Don Pasquale, peccato tenerlo qui a Verona e basta».
A cosa non saprebbe dire di no?
«A un allestimento di Wozzeck. Un testo tragico? Che male c'è ad abbandonare per un po' il buffo. E poi: Falstaff, ovviamente. Ma anche Rossini…».
Che cosa le piace del mondo del teatro lirico?
«L'alto livello di artigianato. Il rigore. I musicisti bravissimi. Avevo dato qualche idea e poi chiesto di abbozzare un fondale: indovinato subito, è uscito qualcosa di speciale».
Che cosa non le piace, invece.
«La sindacalizzazione esagerata. Capisco le ragioni degli scioperi, ma perché far aspettare il pubblico mezz'ora in segno di protesta? (è accaduto a Verona, ndr)».
Che cosa rappresenta l'opera in un Paese come il nostro?
«Un tesoro come la cultura in generale. Per questo, i ministeri della Cultura e del Turismo dovrebbero essere i numeri uno. Abbiamo insegnato al mondo a mangiare e vestire, abbiamo un potenziale eccezionale. Uno dei più apprezzati direttori di ultima generazione, Omer Meir Wellber, dice che l'opera non è roba per giovani. Che sì, vanno incuriositi, sapendo però che frequenteranno regolarmente un teatro dopo i 40 anni…. D'accordo, ma appunto: intrighiamoli nel frattempo, induciamoli a interessarsi, investiamo sul futuro».
Quando un regista osa nuovi percorsi viene spesso insultato dal pubblico. Che cosa dice?
«L'opera è frequentata da persone che amano il genere e lo conoscono, dunque esigono. L'innovazione deve esserci, le ragnatele vanno eliminate. Bisogna poi pensare che quel testo è frutto di un'epoca, è prodotto da un determinato compositore. Non si può prescindere da tutto ciò.

Non mi va che Don Giovanni arrivi in sella a una Harley Davidson. Vorrei titoli nuovi, vorrei che fossero coinvolti i compositori d'oggi. Ricordo un lavoro che feci con il compositore Luca Francesconi, fu solo una sperimentazione però era un tentativo di dire qualcosa di nuovo».

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