Violenza e infiltrazioni nell'economia Così le cosche al Nord ci rendono fragili

In «La mafia siamo noi» i pericolosi intrecci tra crimine e attività pulite

Luca Fazzo

Sarebbe tutto più facile: di qua i buoni e di là i cattivi; lo Stato e i cittadini onesti contro il mondo del crimine. Peccato che la realtà sia più complessa e sfuggente, e che tra i due mondi si stendano fili occulti, e che la tanto decantata «società civile» non abbia sempre gli anticorpi per respingere il virus malavitoso.

Sandro De Riccardis, cronista di giudiziaria di Repubblica, è andato meticolosamente alla ricerca di questi fili occulti, tanto nel sud del paese, dove queste commistioni vengono date per scontate, ma anche nel nord operoso, nella Lombardia profonda. E in un libro ampio e accurato (La mafia siamo noi, Add editore) li ha usati per tessere un ritratto senza indulgenze della fragilità di valori che rende vulnerabile il tessuto delle regioni più europee del Paese. È questa fragilità che porta a essere superficiali e a non farsi tante domande: «La mafia - scrive - siamo noi quando non vediamo o facciamo finta di non vedere. Siamo noi, inconsapevoli strumenti di riciclaggio, che pranziamo nei ristoranti dei clan, balliamo nei loro locali, facciamo shopping nei negozi gestiti dai prestanome della criminalità».

De Riccardis inanella storie di penetrazione malavitosa nell'economia pulita del Nord: e spiega bene come lo strumento della conquista siano a volte la prevaricazione brutale, la minaccia esplicita o implicita: come nel caso di Vincenzo Francomano, il carrozziere comasco cui i clan, passo dopo passo, portano via l'intera officina; ma altre volte i soldi dei clan siano invece ricercati e graditi, e più ancora dei contanti sia benvoluto il potere intimidatorio che l'azienda pulita ottiene alleandosi con il mondo criminale. Fu così, racconta, che un grande call center di Cernusco sul Naviglio, la Blue Call, fondata da due ragazzi lombardi, finì per intero sotto il controllo della 'ndrangheta di Rosarno.

Poi, fortunatamente, ci sono le storie di segno opposto: quelle di chi rifiuta di subire, di chi rompe l'omertà a costo di rompere anche i legami familiari: come Denise Cosco, figlia del boss che

regnava su via Montello, e che trovò la forza di testimoniare dopo che sua madre, colpevole di avere fatto la stessa scelta, era stata uccisa. Ma sono singole perle di coraggio e di speranza nella palude dell'indifferenza.

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