Il "dark web", dove la propaganda jihadista si muove indisturbata

Troppo rischioso per i fondamentalisti comunicare sul web comune. Così si moltiplicano gli utenti dei "siti invisibili"

Il "dark web", dove la propaganda jihadista si muove indisturbata

Il cosidetto dark web ed i gruppi jihadisti sembrano essere fatti l'uno per l'altro. Non c’è cosa migliore, per i terroristi, di una rete anonima sempre disponibile e molto spesso inaccessibili agli utenti comuni di internet. E, soprattutto in un momento come questo, dove la tensione è altissima e i controlli si sono moltiplicati, è diventato molto difficile continuare a comunicare sul web comune. Infatti, le organizzazioni terroristiche guardano al deep web (detto anche invisible web: la parte non indicizzata dai motori di ricerca. Una parte fatta di pagine web dinamiche, non linkate, generate su richiesta e ad accesso riservato, dove si entra solo con un login e una password) come l’unica alternativa possibile per mantere una rete di contatti ed uno scambio di informazioni sicuro. Nel 2007, Mark Burgess, direttore dell'Istituto mondiale di sicurezza a Bruxelles, aveva avvertito che "una troppa attenzione volta a chiudere i siti web (di propaganda jihadista ndr) potrebbe anche essere controproducente, poiché costringe probabili siti terroristici a trovare "ospitalità" nel web sotterraneo".

Ma internet rimane un'arma a doppio taglio: se da una parte, per gli estremisti, è uno strumento prezioso che può aiutare le organizzazioni a reclutare nuovi membri aumentando la diffusione di alcune informazioni; dall'altra, la regolamentazione dei siti web di superficie spinge le cellule terroristiche sempre più in profondità nel web (limitando il numero di utenti che possono vedere i loro siti) rendendoli, agli occhi delle forze dell’ordine, quasi invisibili.

Il reclutamento di combattenti tra le file dei gruppi terroristici organizzati avviene spesso attraverso internet: esso si rivolge soprattutto a individui in condizione di povertà. Infatti, gruppi di persone vulnerabili socialmente, economicamente, e psicologicamente potrebbe essere terreno fertile per alimentare le file dei jihadisti. Per far luce sulle modalità attraverso cui questi gruppi operano sul web è importante considerare il lavoro del professor Chen dell’Università dell’Arizona.

Il team del professor Chen, utilizzando un modello matematico noto come Sir (solitamente usato dagli epidemiologi per descrivere la trasmissione di una malattia) è riuscito a determinare che il tasso di infezione per diventare un attentatore suicida è 2 a 10 mila.

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