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I tunnel dell'orrore, la trappola di Hamas

Il confine trasformato in "zona della morte" tra kamikaze e tranelli. Tecniche di guerriglia ispirate a Hezbollah l'analisi

I tunnel dell'orrore, la trappola di Hamas

Si combatte casa per casa, metro dopo metro. Si combatte tra i vicoli e le viscere di Shajaya, il quartiere di Gaza trasformato in un verminaio di tunnel, in una selva di postazioni missilistiche. Per Israele è un fronte crudele, ma ineludibile. La prima linea tra successo e fallimento. Per Hamas è la battaglia perfetta. La battaglia da cui spillare il sangue palestinese giocato sul fronte della propaganda internazionale. La battaglia dove conquistarsi i cadaveri israeliani da offrire a una Gaza assetata di vendetta. I 13 caduti pianti all'alba di ieri sono per Israele il più alto tributo di sangue quotidiano dalla guerra ad Hezbollah del 2006 ad oggi. E non sarà l'ultimo. Dagli avamposti medici e militari trapelano voci che anticipano altri giorni cupi. Giorni come quelli di otto anni fa quando nel mirino c'erano i tunnel e missili di Hezbollah. E le similitudini non si fermano qui. A Shuajaya, i fanti della Golani fanno i conti con un Hamas molto più combattivo di quello dell'operazione Piombo Fuso del 2009 quando i militari israeliani entrarono a Gaza per l'ultima volta. Allora Hamas evitava lo scontro diretto, i suoi uomini se ingaggiati avevano poche speranze di sopravvivere alle armi, alle tecniche di combattimento, alla precisione di Tsahal. A Shajayah Hamas ha voltato pagina. Ora i suoi combattenti ricordano quelli di Hezbollah del 2006. Non scappano, non temono lo scontro diretto, sfruttano al meglio la conoscenza di vicoli, tunnel e ruderi. Una conoscenza che Israele non ha più. Fino al 2005 i suoi soldati entravano ed uscivano da Gaza. Alcuni di quei veterani erano ancora in servizio nel 2009. Oggi i militari impegnati a Shajaya conoscono quell'inferno solo attraverso le foto aeree, i resoconti d'intelligence e le descrizioni delle forze speciali mandate in avanscoperta. Troppo poco per garantirsi l'incolumità in un territorio trasformato in una «killing zone» - «zona della morte» - attraverso l'uso combinato di trappole esplosive, razzi anticarro e attentatori suicidi. Addestrati in Iran e nei campi di Hezbollah, tempratisi in Siria dove si sono scontrati con i loro ex mentori schierati con Assad, i combattenti di Hamas sono la prima milizia palestinese capace di contrapporsi tatticamente ad Israele e di guadagnarsi l'ammirazione del proprio popolo. Per questo Shujaiyeh rischia di rivelarsi l'anticamera di un grosso cruccio tattico, strategico e politico. Su quel fronte Hamas ha tutto da guadagnare, Israele tutto da perdere. Le bombe usate per distruggere gli accessi dei tunnel e le postazioni missilistiche posizionati tra i condomini contribuiscono a rafforzare e diffondere quell'immagine di un Israele cinico ed assassino tanto cara alla propaganda di Hamas. Sul fronte opposto l'opinione pubblica israeliana rischia, invece, di non reggere a lungo il peso quotidiano di qualche decina e più di vite spezzate. Già ieri molti quotidiani si domandavano perché sette dei 13 caduti di domenica fossero arrivati in prima linea su un vetusto M113, un blindato dell'era del Vietnam trasformato in una bara fiammeggiante da una trappola esplosiva. Ma imprevisto e morte in una trappola angusta come Shuhaiyeh non sono figli solo dell'inadeguatezza dei mezzi. Prima di quella strage un soldato era morto colpito accidentalmente dalle schegge di un sistema di difesa ultrasofisticato attivatosi automaticamente per neutralizzare un razzo anticarro in linea di collisione con un carro Merkava. Perché morte e massacri in quell'inferno, come in tutte le guerre, non sono l'eccezione, ma la normalità.

E Israele tra un po' dovrà chiedersi quanto a lungo sia ancora disposto a sopportarla.

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