È un'inversione di marcia quella compiuta in queste ore dal presidente americano, che ha autorizzato attacchi aerei contro le forze dello Stato islamico in Irak. Barack Obama, che ha costruito le sue campagne elettorali sulla promessa di terminare il coinvolgimento degli Stati Uniti in guerre lontane migliaia di chilometri, che ha riportato le truppe a casa da BagHdad dopo più di un decennio di conflitto e che tenta di trovare una definitiva exit strategy dall'Afghanistan, è stato costretto dall'intorbidirsi delle acque in un Levante sempre più violento ad andare contro quanto predicato per anni.
E i giornali americani in queste ore intercettano il peso della decisione: «Nel rimandare gli aerei da guerra nei cieli dell'Irak, il presidente Obama giovedì notte si è trovato esattamente dove non avrebbe voluto essere», ha scritto il New York Times . «Il presidente Obama si è presentato giovedì davanti alle telecamere per dire parole che avrebbe sperato di non pronunciare mai», racconta il Wall Street Journal . «Barack Obama non voleva essere in Irak nel 2007 quando correva per la presidenza e non vuole esserci ora nel 2014», spiega Politico .
Il leader americano, parlando alla nazione, ha voluto rassicurare gli americani: «Come comandante in capo, non permetterò d'essere trascinato a combattere un'altra guerra in Irak», ha detto. Eppure, «l'America oggi viene ad aiutare», ha spiegato.
Obama ha tentato di resistere per due mesi, da quando l'avanzata degli estremisti dello Stato islamico in arrivo dalla Siria ha investito l'Irak, minacciando Baghdad e il debole governo a maggioranza sciita. Washington ha spinto per una soluzione politica che non sembra arrivare e ora che le minoranze religiose irachene sono minacciate dal radicalismo islamico e che gli uomini armati diventano un pericolo troppo reale per un alleato robusto dell'America nella regione, i curdi di Erbil, l'Amministrazione - per il suo ruolo passato nel paese e perché l'avanzata degli estremisti non è soltanto più un problema iracheno - è stata costretta a una reazione di forza. «Quello che accade, riguarda la sicurezza nazionale dell'America», ha detto al New York Times l'ex ambasciatore a Baghdad Ryan Crocker, architetto assieme al generale David Petraeus del «surge» di truppe che nel 2007 ha portato a una svolta nel conflitto in Irak.
Il presidente ha tentato per due mandati di fare un passo indietro in politica estera, di prendere le distanze soprattutto dalle sabbie del Medio Oriente, delegando ad alleati spesso vacillanti o impreparati. Nel 2013, ha ritirato dalla pista gli aerei da guerra già pronti a bombardare obiettivi militari di Damasco dopo il sorgere di prove sugli attacchi chimici del regime contro civili.
Soltanto a maggio, in un discorso ai cadetti dell'Accademia militare di West Point, Obama ha detto che l'azione militare americana non deve essere l'unica componente della leadership mondiale degli Stati Uniti. Le contingenze e i troppo frequenti picchi di violenza mediorientali - capaci di sconfinare lontano - costringono ora l'Amministrazione a ricalibrare la strategia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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