Morto Peter Yates, diresse Steve McQueen in «Bullitt»

Bullitt è diventato un classico e un suo frammento serve tuttora per una pubblicità che ancora sfrutta Steve McQueen a trent’anni dalla morte. Ma ci sono anche Rapina al treno postale, Gli amici di Eddie Coyle, All American Boys e Servo di scena. Ecco i film migliori di Peter Yates, regista britannico nato nel 1929 e morto domenica sera a Londra.
Era della categoria migliore: i registi «tecnici», quelli di film sempre diversi, egualmente capaci di governare l’azione e dare brio all’intimità. Insomma, uno di quei registi che critica e cinefilia spesso disdegnano, salvo recuperarli post mortem (per Yates l’occasione è dunque venuta) perché non fanno solo autobiografia e preferiscono il racconto al messaggio. Certo, dal 1968 di Bullitt, troppe auto abbiamo visto volare sugli incroci scoscesi di San Francisco per non infastidirci degli epigoni che copiavano quella scena. Ma era colpa loro, non di Yates. Nessun epigono e, purtroppo, nessun continuatore, ci ha più dato la solitaria amarezza del personaggio di Robert Mitchum negli Amici di Eddie Coyle (1973), versione delinquenziale e in età del poliziotto di Steve McQueen.
Quanti storici del cinema hanno preso sul serio il quadro dell’adolescenziale disillusione sulla vita di All American Boys (1979)? Il film parve l’ennesima variante di American Graffiti, ma era ben originale. In Italia ci si mise anche il doppiaggio del protagonista, Dennis Christopher con accento veneto a svilire la qualità del prodotto. Eppure qui appariva la figura complementare all’Americano a Roma di Sordi, un quarto di secolo prima: l’americano di ceppo scandinavo che si spaccia per italiano a Bloomingdale, Indiana! Alla fine del film si scopre che i ciclisti italiani veri sono ignobili (ma lo si sapeva fin dal 1948 di Totò al giro d’Italia di Mattòli). Il film di Yates, come quello di Steno, non era xenofobo: osservava semplicemente la solitudine di chi cresce senza un mito e deve accontentarsi di un surrogato.

Quanto a Servo di scena(1983), unisce alla perfezione crudele dell’amore-duello fra i personaggi di Albert Finney (l’attore shakespeariano) e Tom Courtenay (il servo di scena vanamente innamorato di lui), ulteriore esame - oltre che dell’identità mitica - della delusione.
Tutto ciò spiega le quattro nomination di Yates all’Oscar come regista. I finali, mai davvero lieti, spiegano perché l’Oscar a Yates non andò mai.

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