Controstorie

Mosca è ritornata primadonna Ma è un gigante dai piedi di argilla

Mostra i muscoli e cerca di piacere all'Occidente e pure agli Usa L'economia però arranca, la popolazione cala e la vita è breve

Livio Caputo

Per la prima volta dalla fine della guerra, il numero degli italiani che parteggiano per la Russia si sta avvicinando gradualmente a quelli che parteggiano per l'America. Molti ammirano Putin come un leader forte, che non solo sa quello che vuole ma lo traduce rapidamente in decisioni. Quelli che hanno avuto occasione di visitare Mosca, San Pietroburgo e perfino Kazan hanno trovato città europee, brulicanti di automobili, ricche di vita culturale e con molti edifici nuovi di zecca, che anche durante i tempi di recessione davano l'idea di un certo benessere. È diffusa l'idea che la Russia, sbarazzatasi del regime comunista e diventata addirittura amica delle destre europee, sia tornata a essere una superpotenza, in grado di rivaleggiare di nuovo con gli Stati Uniti sia sul piano politico, sia su quello militare.

La realtà, tuttavia, è abbastanza diversa. La Federazione russa, dopo avere perso le altre 15 repubbliche che componevano l'Urss, è un gigante con i piedi di argilla. Rimane, con 17 milioni di chilometri quadrati, il Paese più grande del mondo, ma la sua popolazione è di appena 146 milioni e in progressiva diminuzione, appena attenuata dal costante flusso di immigranti (musulmani) dall'Asia centrale. La sua economia è un decimo di quella americana, e nonostante le continue esibizioni muscolari, dalla Crimea alla Siria, le sue spese per la Difesa ammontano ad appena l'11% di quelle degli Stati Uniti. La vita media degli uomini russi, minati dall'eccessivo consumo di vodka, è di appena 62 anni, una delle più basse del mondo, e appena ci si allontana dalle maggiori città si entra in un mondo arcaico, o addirittura primitivo. A parte la tuttora fiorente industria bellica, l'economia non è quella di un Paese avanzato: il 58% delle esportazioni è costituito da metano e petrolio e il 20% da altre materie prime. Buona parte dei beni di consumo, e fino alle sanzioni anche dei prodotti alimentari, deve essere importata: un'operazione che, negli anni d'oro del petrolio a 100 dollari al barile e della crescita del 7% annuo era indolore, ma che ora ha dovuto essere drasticamente ridimensionata. Gli investimenti stranieri, che avevano raggiunto cifre imponenti negli anni del capitalismo selvaggio di Eltsin, sono molto diminuiti a causa sia dell'incertezza del diritto, sia dei sempre più frequenti, scandalosi interventi ai danni di società straniere. Neppure i nuovi ricchi russi si fidano molto del regime, visto che, nonostante restrizioni e controlli, si registra una costante fuga di capitali.

Ufficialmente il comunismo e l'economia di comando sono finiti, tanto che Putin ha deciso di ignorare perfino il centesimo anniversario della Rivoluzione, ma la presenza dello Stato nell'economia è cresciuto in pochi anni dal 35 al 70% e le principali attività economiche sono di nuovo sotto il controllo diretto del Cremlino, o comunque di uomini di fiducia di Putin. I tentativi di modernizzare il Paese procedono con difficoltà, come dimostra il caso della nuova città supertecnologica Innopolis, rimasta semideserta per mancanza di investitori. La corruzione è diffusa a tutti i livelli, tanto che è stata l'obbiettivo delle proteste popolari di fine marzo, organizzate dall'unico vero oppositore, l'avvocato Navalny, in ben cento città contemporaneamente (senza che i media del regime ne facessero cenno).

Sabato scorso altre manifestazioni, stavolta gestite dall'ex oligarca Khodorkovski uscito di recente di galera si sono svolte in 30 città, con il pretesto di consegnare petizioni contro gli stipendi da fame, e il 12 giugno Navalny promette di fare il bis. È vero che, dopo ben sette trimestri consecutivi di recessione, all'inizio del 2017 il Pil è tornato ad aumentare dello 0,3%, la produzione dell'1,3 e il rublo, che nei momenti più bui aveva perso metà del suo valore, ha riguadagnato il 10% sul dollaro, ma il potere di acquisto del cittadino medio è di appena due terzi di quello precedente la grande crisi. A impoverirsi è stata soprattutto la provincia dove, paradossalmente Russia unita, il partito di Putin, attinge il grosso dei suoi voti.

La popolarità dello Zar, che era scesa al 60% durante la grande crisi, è tornata all'80%, per cui egli non ha da nutrire alcun timore per le elezioni presidenziali del 2018, in cui Navalny si ripromette di sfidarlo. Voci probabilmente interessate sono trapelate la scorsa settimana su suoi presunti problemi di salute, ma al Gp di Sochi è parso in perfetta forma. Putin ha costruito, attraverso gli anni, una struttura di governo molto efficiente, un po' paradossalmente battezzata con la parola italiana «sistema», che comprende anche elementi contraddittori come la stretta alleanza con la Chiesa ortodossa e la riabilitazione di Stalin (ma non di Lenin). In parte, essa è ereditata dalla vecchia Urss, come l'onnipotente Fsb (erede del Kgb in cui lo Zar si è fatto le ossa), il quasi completo controllo dei media solo in parte intaccato dalla diffusione dei social, il seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza e un arsenale nucleare pari a quello dell'America.

Di suo, Putin ha introdotto una politica rigorosamente centralista, avocando a sé la scelta dei governatori provinciali che sotto Eltsin erano eletti, ha favorito un radicale rinnovamento delle Forze armate, ha trovato il modo di sbarazzarsi di chi gli dava fastidio, dalla giornalista Politovskaya all'economista liberale Nemtsov, e soprattutto ha adottato la tattica di alimentare il tradizionale nazionalismo russo con aggressive iniziative estere: la occupazione lampo della Crimea, le «guerre» contro la Georgia (occupazione dell'Ossezia del Sud) e l'Ucraina (assistenza alle province secessioniste del Donbass) per punirle del loro avvicinamento a Ue e Nato, l'irruzione militare sulla scena siriana. Libero di decidere ciò che vuole, Putin è riuscito, in questo modo, a proiettare l'impressione di «grande potenza» cui aspira e a riempire i vuoti lasciati dall'Occidente, ormai apertamente descritto ai cittadini come nemico.

L'unico interesse che ha in comune con America ed Europa è la lotta al terrorismo islamista, ma la «santa alleanza» ipotizzata dopo la elezione di Trump non si è finora materializzata.

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