Il «motore Italia» è ripartito Cresce la ricchezza prodotta

Il quadro dell’economia italiana che emerge dalla relazione all’assemblea dell’Unione delle Camere di commercio non è certo quello del declino. Al contrario è quello di un formicaio di imprenditori, che dopo lo sconvolgimento dovuto alla crisi internazionale, si rimesso in moto, con grande energia e dinamismo, anche se, purtroppo, ciò riguarda due terzi del nostro Paese, perché il Sud, salvo eccezioni, arranca abbassando la media nazionale.
Quest’anno, dice l’analisi statistica di Unioncamere, ogni italiano produrrà mediamente 23.500 euro di valore aggiunto, che, al lordo dell’inflazione, significano 570 euro in più rispetto al 2010. Si tratta, mediamente, al netto dell’inflazione, dell’1% in più rispetto allo scorso anno. Ma si tratta di una statistica del tipo di quelle di Trilussa, che diceva che se Tizio mangia un pollo e Caio non ne mangia niente, per la statistica ognuno ha mangiato mezzo pollo. Infatti, nella provincia di Milano il cittadino medio produce 35mila euro, quasi il 50% in più del dato medio nazionale di 23.500. E l’aumento del 2011 per abitante, nell’area milanese, è di 1.360 euro, ossia è circa due volte e mezzo l’aumento medio nazionale per abitante. Poiché il prodotto nazionale (Pil) quest’anno aumenta di media dell’1% sull’anno scorso e la popolazione è stazionaria, un facile calcolo ci fa capire che l’aumento medio del Pil della provincia di Milano è attorno al 2,5. E poiché la media europea di crescita del Pil quest’anno è il 2 per cento, la provincia di Milano la supera di parecchio. Invece l’Italia ha una crescita di metà della media europea. Le province di Bologna e di Belluno sono destinate a crescere di oltre mille euro rispetto all’anno scorso. Dunque, hanno una crescita che è nella media europea o un poco sopra.
C’è, poi, un gruppo di province, capeggiate da quella di Torino che, invece, hanno una crescita di valore aggiunto di un po’ più di 800 euro, che si traduce in un’analoga percentuale di aumento del loro Pil. Insomma, sono di poco sotto la media europea di crescita del Pil del 2 per cento.
Ad abbassare la media italiana ci sono quasi tutte le province del Mezzogiorno, con Crotone in coda.
Ma nella parte bassa della media non c’è solo il Mezzogiorno, ci sono anche province come Imperia, Grosseto e Pesaro Urbino che non registreranno quest’anno alcun aumento del valore aggiunto procapite. La domanda interna di consumi ristagna perché la politica di contenimento del deficit del bilancio, necessaria per risanare la nostra finanza pubblica ed evitare crisi come quelle che hanno colpito altri Stati, con debito meno elevato del nostro, ha diminuito il consumo che solo ora ha una modesta ripresa e le imprese che servono il mercato domestico del consumo sono dunque anche caute nell’investimento. Anche l’edilizia ristagna, e ciò sopratutto a causa delle bardature dirigistiche degli enti locali.
A trainare la crescita c’è il commercio internazionale. Le province che vanno bene sono quelle che riescono a esportare, guadagnando nuovi mercati. Gli italiani che hanno il gusto masochista dell’autodenigrazione (di cui sono campioni i guru della nostra sinistra) dovrebbero essere orgogliosi dei primati che le nostre imprese sono riuscite a conseguire nel commercio estero. Nonostante un fisco che pesa il doppio sulle nostre aziende esportatrici, ha detto il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, siamo il primo Paese dell’Europa, dopo la Germania, per presenza sui mercati extra-europei; e siamo il primo, dopo la Cina, per quantità esportata nei Paesi emergenti.
Dunque, il fatto che l'Italia sia popolata soprattutto di piccole e medie imprese e di cosidette multinazionali tascabili non impedisce alla nostra economia di essere in testa nelle graduatorie del dinamismo dell’economia dei mercati globali. Ciò dipende dal fatto che si tratta di imprese fortemente competitive che suppliscono con la convenienza del loro export alla difficoltà di operare nei nuovi mercati con tecniche promozionali che sono redditizie solo quando si possono distribuire i loro costi su elevati volumi di vendite.
Indicativo, inoltre, è il dato sull’occupazione con 317mila assunzioni che verranno effettuate dalle nostre imprese entro fine giugno. Di queste, 220mila avranno carattere non stagionale. Rispetto al secondo trimestre del 2010, le assunzioni totali dovrebbero essere oltre 58mila in più e quelle non stagionali quasi 61mila.

È chiaro che l’Italia deve cercare di assistere maggiormente le sue imprese, anche con riduzioni fiscali, coperte mediante recupero di gettito nelle agevolazioni ingiustificate nell’Iva e nell'economia sommersa, ma intanto dobbiamo prendere atto dei successi che sono stati raggiunti e che testimoniano anche che il made in Italy e l’Italia in generale hanno una buona reputazione internazionale. Merito anche del governo.

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