Cultura e Spettacoli

Muti: la Cina musicale sta per invaderci Salviamo la nostra cultura

Grido d’allarme durante l’applaudito tour in Giappone

Muti: la Cina musicale sta per invaderci Salviamo la nostra cultura

Piera Anna Franini

Montagne di biglietti esauriti in un’ora, code ai camerini e crocchi all’uscita delle sale da concerto con striscioni «Bravo Muti nostro Maestro». Sito web della Camerata Muti, il club dei mutiani d’Oriente, arricchito giornalmente con i dettagli del caso. Cronaca della tournée a Tokio – in quel tempio massimo che è la Suntory Hall - e dintorni (7-17 ottobre) del direttore d’orchestra Riccardo Muti alla testa dei Wiener Philharmoniker. Un ottobre monografico a Tokyo considerato la programmazione della «Muti week», la maratona televisiva lunga una settimana, al via nella seconda metà del mese, con concerti e opere dirette dal Maestro italiano. Musica, dunque, che al tempo stesso ricorda che il made in Italy non è solo una questione di moda e cucina, ma viaggia anche attraverso il canale della cultura. Questo, sebbene si faccia di tutto per tarparne le ali. Annoso problema, acuito dall’annuncio di ulteriori tagli, da cui muove la conversazione con Riccardo Muti.
«Bisogna partire dal presupposto che la musica non è intrattenimento, ma è un contributo alla società, migliora l’uomo. È ingiustificato operare questi tagli e soprattutto in modo indiscriminato, semmai si devono colpire le operazioni prive di qualità. Non necessariamente bisogna tener conto del grande nome, viceversa vi sono istituzioni piccole che meritano d’essere aiutate: si deve capire e premiare chi fa bene, non è una questione gerarchica».
Anche alla luce di questo, cosa rappresenta per noi l’Oriente musicale: un pericolo o un’opportunità di crescita?
«Parto da alcuni dati. In Cina vi sono dodici milioni di pianisti, di cui cinque milioni bravi o bravissimi. Vi sono cinque milioni di direttori. A Shanghai operano seimila insegnanti di pianoforte. La Cina si riverserà su di noi sempre più ansiosa di assimilare la nostra cultura, e questo mentre noi tagliamo i fondi. Già anni fa, epoca Scala, avevo inteso creare ponti con la Cina, ci furono contatti e incontri con la figlia di Den Xiao Ping in occasione di una sua visita a Milano, ma questa mia idea cadde nel vuoto».
Questo discorso vale anche per il Giappone?
«Il Giappone già da decenni è aperto alla cultura occidentale e in particolare d’Europa, già negli anni Settanta qui erano di casa i Karajan e i Bernstein. I giapponesi sono molto ricettivi, aperti all’esperienza musicale, da sempre attenti ai prodotti discografici: quando chiedono l’autografo lo fanno mostrandoti una pila di registrazioni. Via via hanno saputo istituire scuole di musica e metodi di insegnamento vincenti, per non parlare delle sale da concerto».
Quando e con chi tornerà in Giappone?
«In aprile, al Festival di Seiji Ozawa, con la sua orchestra. Dirigerò il Requiem di Verdi, i solisti saranno cantanti italiani: Frittoli, Sabbatini e D’Arcangelo. Per il contralto stiamo valutando. Poi tornerò nel 2008 sempre con i Wiener».
I rapporti con i Wiener sembrano diventare sempre più stretti...
«È l’orchestra con cui ho il rapporto più stretto in assoluto».
E volendo allargare la rosa delle orchestre predilette?
«La New York Philharmonic, la Philharmonia Orchestra di Londra, la Philadelphia Symphony e la giovane Cherubini».
Circolano voci su un ponte fra l’Orchestra Cherubini e Vienna. Conferma?
«Il presidente del Musikverein mi ha chiesto di portare a Vienna il complesso. Lo farò, ma fra due anni».
Vale a dire con un’orchestra nel frattempo cresciuta...
«Del resto le orchestre non si vendono dalla mattina alla sera. Orchestra non vuol dire mettersi assieme e suonare. Semmai è il risultato di anni di sacrificio e lavoro: 150 per i Wiener. Solo in queste condizioni si può parlare di una personalità, di un modo di intendere il suono e il fraseggio. È una qualità questa che va scomparendo, ora si punta al colpo di spettacolo».
Che progetti la legano all’Austria?
«Una tournée in marzo in America, l’inaugurazione a Salisburgo dell’anno mozartiano, nel 2008 una nuova produzione di Otello e nel 2010 Agnes von Hohenstaufen di Spontini in lingua tedesca, sempre per l’anno mozartiano un concerto di rarità mozartiane tra cui un Kyrie».
Nel frattempo la reclama la New York Philharmonic...
«Dal 2006 ho promesso che le riserverò un mese all’anno e dedicherò un occhio di riguardo al repertorio italiano, anche contemporaneo. Si dimentica troppo spesso quanto abbia fatto per la musica contemporanea di casa nostra, per esempio le varie commissioni promosse».
Impegni fissi?
«Ora mi godo questa straordinaria libertà.

Sono direttore stabile da anni, adesso voglio lavorare con chi, quando e dove voglio, senza preoccupazioni di altro genere».

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