Napoli aveva già 600 milioni di debiti con le Regioni

Da 13 anni l’immondizia rifilata in tutta Italia. Il Commissariato per l’emergenza non ha pagato chi l’ha accolta. E chiede ancora «solidarietà»

Come può pensare di indebitarsi, ancora di più, chi ha già accumulato debiti per 600 milioni di euro? Per rispondere non è necessaria la Corte dei conti, basta uno scolaro col pallottoliere. Il maxi-buco fa capo al bilancio del Commissariato per l’emergenza rifiuti in Campania, proprio l’organismo chiamato oggi a risolvere il problema-spazzatura. Ma a Napoli la matematica è una scienza esatta più o meno come la munnezza profuma di bucato.
I documenti parlano chiaro. Ventisei luglio 2005, resoconto della Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti: «I debiti del Commissariato sono di 600 milioni di euro», firmato Corrado Catenacci, ex commissario per l’emergenza. Attenzione: i 600 milioni di euro, cui fa cenno Catenacci, si riferiscono agli ultimi 13 anni, vale a dire a un periodo precedente all’attuale emergenza. Uno scempio che oggi sommerge Napoli sotto una valanga di 50mila tonnellate di spazzatura: per smaltirle il Commissario «dovrebbe» spendere altri 10 milioni di euro. Che sarebbe un po’ come se un pensionato col conto in rosso dovesse farsi carico di sanare tutti i debiti della sua famiglia.
Ma dal 1994 come ha fatto il Commissario per l'emergenza rifiuti ad accumulare 600 milioni di debiti? E con chi li ha contratti? Non potendo contare su termovalorizzatori sul proprio territorio e con le discariche disponibili ormai stracolme, non è rimasta che la via dell’«esportazione» nelle altre regioni o all’estero. In Italia sono stata molte le regioni che - secondo alcuni dati forniti dallo stesso Commissariato - hanno accettato i rifiuti campani: dalle Marche (3.000 tonnellate nel 2004) alla Toscana (1.500 tonnellate nel 2001); dalla Basilicata (30.000 tonnellate nel 2001) alla Lombardia (50.000 tonnellate nel 2001); dall’Umbria (20.000 tonnellate nel 2001 e altrettante nel 2002) all’Emilia Romagna (22.000 tonnellate nel 2001). Tutte regioni che - in varia misura - risultano creditrici nei confronti del Commissariato che non è riuscito pagare il «servizio smaltimento» avvenuto fuori dai confini campani. Tra quelle che continuano vanamente a batter cassa ci sono l’Umbria e la Basilicata, accusate ora di non mostrarsi «solidali» con i problemi di Napoli. L’Umbria l’ha fatto capire nei giorni scorsi: fino a quando non sarà saldato il debito precedente, sarà difficile accettare altri rifiuti. Le 40mila tonnellate prese in due anni varrebbero circa 8 milioni di euro (200 euro a tonnellata). Non poco, per una regione. E mentre Perugia aspetta ancora, per non rischiare di rimanere gabbata per la seconda volta, l’Emilia Romagna prima di accettare nuovi rifiuti da Napoli, ha preteso di farsi pagare i crediti risalenti al 2001.
Altri 50 milioni di debiti il Commissario li ha accumulati con la società Ecolog delle Ferrovie dello Stato, incaricata di trasportare su rotaia le ecoballe. Ma veniamo a oggi. Con l’ex commissario Bertolaso costretto ad ammettere che finora, in tema di rifiuti, il capoluogo campano si è trovata dinanzi a due «organizzazioni di smaltimento» parallele: la prima legale, controllata dalle istituzioni; la seconda illegale, gestita dalla camorra». In entrambi i casi si tratta di un business milionario. Con una differenza non di poco conto: mentre gli enti locali sperperano denaro pubblico e accumulano debiti, la criminalità si arricchisce attraverso il business delle scorie tossiche, di cui la Campania rappresenta il più vasto «cimitero» internazionale. Alla camorra interessa guadagnare danaro, alla classe politica interessa guadagnare clientele. Come? Creando «carrozzoni» da usare poi come riserva di voti.

La riprova? Grazie all’emergenza, i dipendenti dei 18 consorzi-munnezza hanno raggiunto quota 20.000 (uno ogni 300 abitanti). Per non parlare dei netturbini che in Campania sono più che in Lombardia. Con i risultati che sono sotto gli occhi - e il naso - di tutti.

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