Cronaca locale

Cerullo, non è esaltando la violenza che si salverà Scampia

Il fotografo Davide Cerullo è il simbolo della possibilità di rinascita delle Vele di Scampia. Il suo percorso è importante per capire la strada verso il riscatto

Foto di Davide Cerullo
Foto di Davide Cerullo

Davide Cerullo, è un ex spacciatore cresciuto alle Vele di Scampia, oggi fotografo, scrittore e impegnato nel sociale con la sua associazione “L’albero delle Storie”. Del suo percorso personale ama dire: “L'anticamorra gridata come un Vangelo mi ricorda l'effetto che mi facevano la Chiesa e l'Oratorio da bambino, a me che crescevo nelle zone grigie delle periferie. Tutto bello, tutto solare, tutto pulito, tutto giusto. E quindi non era per me, era lontano dalle mie colpe, dai peccati originali, dall'ambiguità, dalla complessità. Avrei sentito più vicino un profeta dolente e di poche parole, a bassa voce, perché la vita non è sempre chiara, facile. Resistere da dentro le cose brutte necessita di comprensione, non di scelte definitive, trincee, guerre. L'anticamorra si fa ascoltando e al boss non contrapponiamo il supereroe, ma la comunità che resiste e può vincere”.

ilGiornale.it lo ha intervistato per fare il punto sul quartiere nel momento in cui si sta per buttare giù tre delle quattro Vele sopravvissute.

Le Vele nel mondo intero sono ormai conosciute per Gomorra, la fiction di Saviano.

Mi fa rabbia quando la vedo. Premiata anche all’estero, crocifigge una rinascita. Sono preoccupato. La bellezza non annienta mai ciò che a lei si oppone, ma la cambia a nuova vita. Il contrario di quello che fa la fiction, che è disarmonia prestabilita, disorientamento, violenza selvaggia, che non ci porta fuori dalla notte o alla riflessione di un ravvedersi prima che sia troppo tardi. Gomorra, ispirandosi alla camorra, aggiunge violenza ad altra violenza per me. Una violenza interiorizzata da parte di ragazzini che già vivono situazioni fragili, quelli nati fragili in famiglie multiproblematiche che già vivono con il piacere del crimine, una violenza che diventa stile di vita. La camorra in Gomorra diventa un modo di sostegno a vicenda, una criminalità tenuta in vita dalla televisione. Nella sua ansia di giustizia Saviano rende grandi nella finzione quelli che commettono ingiustizie, senza tenere conto degli effetti che si muovono nella testa dei nati fragili, dentro alla quale si crea una solitudine che pulsa di desiderio di violenza. Lo trovo un controsenso voler distruggere una violenza reale con una violenza cinematografica.

Saviano ha una sofferenza da sintomo del trauma. Dentro di lui vive un mondo popolato di fantasmi e allegorie. Parlare di mafia e di camorra come fanno alla televisione e Saviano, credo che sia una componente decisiva della loro forza. A Saviano dico che non ci manca il racconto dell'orrore. Di quello il mondo è pieno, ma un piccolo spiraglio di speranza.

Tra un mese uscirà anche il film “Il Sindaco del Rione Sanità”, speriamo non commetta gli stessi errori, ma dal trailer sembra proprio di sì.

A Scampia con la tua associazione “l’Albero delle Storie” sei molto impegnato nel sociale

Sono tornato a vivere a Scampia, dopo anni in cui avevo vissuto in Emilia Romagna, con un bagaglio di valori e una struttura mentale molto diversa di quando vivevo qui. Gli incontri con tanti intellettuali e persone come il poeta francese, Christian Bobin, Erri De Luca et lo street artist francese, Ernest Pignon-Ernest, ha permesso di dare un altro nome alle cose, un senso e una ragione al male che affligge questo territorio. In questo momento ho deciso di impegnarmi per migliorare il quartiere in cui sono nato. La mia infanzia e adolescenza è stata negativa, certo non è solamente colpa di Scampia. Più che altro sono state le assenze a danneggiarmi, le assenze di quelle relazioni che strutturano una persona. È stata questa situazione di assenze famigliari e della società, che moltissimi vivono, a far sì che siano state poi le persone a rendere brutto questo territorio.

Che rapporto hai con le Vele?

Il mio rapporto con le Vele è da sempre fortissimo, le sento sotto la pelle. Secondo me chi le costruì fu un genio, perché le ha pensate in lungo e in largo. Certo vi è il problema dell’amianto, ma si possono bonificare. Chi presenta le Vele come luoghi in cui esiste solamente la camorra o la droga, non gli rende giustizia. Ora bisogna lavorare per toglierle di dosso questo marchio. Non sarà buttando giù le Vele che si sconfiggerà la Camorra, la struttura architettonica non c’entra nulla. Per fortuna negli ultimi anni qualcosa per migliorare la situazione è stato fatto. Si è visto un certo riscatto del territorio. Bisogna dire che dove cresce il male, cresce sempre anche il bene. Molte persone del quartiere si sono rimboccate le maniche. Anche il lavoro delle forze dell’ordine è stato prezioso. Oggi la camorra si deve nascondere per fare i propri traffici. Sono state smantellate le piazze di spaccio. Non ci sono più le ambulanze che venivano a prendere le persone in overdose. Dopo le faide del 2004 e del 2011, dove ci sono stati molti morti, anche innocenti. Oggi tutto questo è sparito. Certo la droga ancora esiste, solamente non si fa più a Scampia e non si fa più alla luce del sole. Le Vele oggi sono un simbolo. Sicuramente sono diventate anche il centro di un business che utilizza l’immagine stereotipata di questo luogo per far guadagnare visibilità a persone ed associazioni. Però per fortuna sono anche uno spazio creativo dove tantissima gente ha lavorato molto per cambiare la propria vita e questo luogo.

Tra qualche mese dovrebbe aprire a Scampia la facoltà di Scienze infermieristiche dell’Università Federico Secondo. Porterà aria nuova nel quartiere?

Ben venga l’Università, vorrei però vivere in un mondo in cui non mi debba stupire che si apra l’università a Scampia. Il pensiero, l’arte, lo studio sono rivoluzionari ed è proprio nelle periferie dove c’è più bisogno di queste potentissime armi.

Dietro alle baby gangs di solito si scoprono ragazzi insicuri che solamente nel branco trovano un’identità

La questione dei bambini qui è un problema molto serio. In questo territorio non ci sono più bambini perché crescono troppo in fretta, li abbiamo persi. Qui un bambino buono non deve essere bravo, ma furbo, non deve parlare italiano e anche il dialetto, ma solo in dialetto. I genitori li buttano per strada da subito perché cosi imparano a difendersi. Mio padre mi diceva che se mi avessero picchiato, mi avrebbe picchiato anche lui perché non avevo saputo difendermi. Se non ti sai difendere sei uno scemo. Un buono è considerato un buon a nulla. I bambini non sono stimolati, non ci sono cinema, teatri, librerie, impianti sportivi. Quello che conta è stare sempre in uno stato di allerta per non farsi fregare. Le famiglie insegnano ai figli a essere furbi, non di certo onesti. Si cresce in uno stato di non fiducia. Siamo rimasti all’epoca di “occhio per occhio, dente per dente”. Se vai scuola sei un debole, si cresce con malizia. Si tratta di bambini con potenzialità uniche, ma che finiscono nella violenza. Si salvano più facilmente alcuni dei minori dei condomini privati, che a Napoli chiamiamo parchi.

Avranno un futuro nel mondo del lavoro?

A meno che scoprano qualche passione come l’arte, la musica o il teatro o che incontrino le persone giuste, faranno una brutta fine. Non per forza diventeranno criminali, ma saranno disoccupati, infelici o potrebbero cadere nella tossicodipendenza. Diventano ostaggi del loro stesso territorio. Non si sono mai mossi da Scampia e non si muoveranno mai da qui.

La classe media napoletana emigra per lavorare a Londra, Parigi o Berlino, un extracomunitario affronta viaggi di migliaia di chilometri per iniziare una nuova vita a Napoli, conosce tre quattro lingue, perché i poveri di Scampia non tentano la fortuna altrove? Si tratta di insicurezza o di non avere un’identità riconosciuta al di fuori del loro territorio?

Quando alla fine delle mie chiacchierate nelle scuole o nelle associazioni a Nord Italia mi chiedono cosa fare, io dico sempre facciamo accoglienza. Permettiamo a questi ragazzi di essere ospitati per un certo periodo a Nord, per assaporare un po' di diversità. Magari permettiamo a quelli più grandi di fare esperienza lavorativa nel settentrione. I bambini di Scampia sono abituati a vedere le madri truccate, vestite come per andare ad un museo, che li portano al carcere di Secondigliano per vedere il padre. I ragazzi sono ostaggi di questo territorio. Io ogni tanto li porto in giro in Italia o all’estero. Mi ricordo un ragazzo, che non aveva la preparazione per poter viaggiare, che mi disse che voleva tornare a Scampia e che la prima cosa che avrebbe fatto, sarebbe stato baciare i pilastri delle Vele. Sono insicuri e fuori dal loro mondo non sanno muoversi.

L’impressione è che si crescano i bambini buttandogli per strada perché diventino forti, che gli si inculchi tanti miti sul machismo e che poi si abbiano generazioni di ragazzi che si sentono totalmente insicuri fuori dal loro territorio

È come se fosse un grande teatro in cui dietro al machismo, vi è l’insicurezza. Ma se non si esplora non si cresce. In più un certo assistenzialismo ha peggiorato la situazione.

In una società in cui attraverso la televisione e i cellulari si vede quello che accade in tutto il mondo, i ragazzi non hanno la curiosità di viagiare?

In realtà avviene l’incontrario, pensano che possono conoscere il mondo dal divano e che non c’è bisogno di scoprirlo con i propri occhi. Rimangono chiusi in casa e pensano di conoscere tutto da lì. Io se non avessi conosciuto le persone giuste o non avessi letto Pasolini o altri autori chissà dove sarei oggi.

In un quartiere senza librerie, hai mai visto alla Villa Comunale un ragazzo che legge un libro?

No, mai. A Scampia in ogni stanza potrebbe esserci un televisore, ma in tutta la casa nemmeno un libro e questo è molto dannoso. La peggiore oppressione riesce su chi manca di parole. Il camorrista Paolo di Lauro, persona non stupida, che conosce a fondo questo quartiere, ha misurato bene il grado di cultura della gente e ha compreso che qui poteva fare i suoi affari. Gianni Rodari, sosteneva che bisogna leggere, non per farsi una cultura, ma per non diventare più schiavi. Eppure continuano a tagliare sulla cultura, invece di continuare a finanziare solo le associazioni anti mafia, bisognerebbe aumentare gli stipendi degli insegnanti e la qualità dell’insegnamento nelle periferie. Un ragazzo una volta chiese all’ex presidente Giorgio Napolitano, in visita al carcere minorile di Nisida, perché lo Stato desse ai ragazzi la possibilità di fare moltissime attività e corsi o di vedere il mare solamente quando sono già nel carcere minorile, mentre quando erano liberi a Secondigliano non vi era nulla di tutto questo.

Cosa si può fare?

Stiamo attenti a non chiedere l’impossibile ai bambini, come fare il bravo, dopo che la madre non gli ha detto niente. Magari non gli ha insegnato che si fa, ma nemmeno che non si fa. Perché in fondo nella loro testa i genitori vogliono dei figli furbi che sappiano difendersi in un mondo di furbi. Una volta vidi una madre portare il figlio dal parrucchiere e quando lui le chiese che taglio voleva, lei gli rispose di fargli un taglio “a omm”. Perché voleva subito formarlo a piccolo “guappo”.

Le differenze a Napoli sono geografiche o di censo?

A Napoli, anche in centro, esistono gruppi di persone prigioniere di gabbie mentali, persone che quando un camorrista locale viene ucciso sparano i fuochi di artificio. Esistono perfino figli della borghesia che subiscono il fascino della criminalità. In generale mancano le guide, i figli rispecchiano i genitori. Se si litiga lo si fa davanti ai bambini, perché devono vedere e sapere. Le madri insegnano ai figli a dire le parolacce o a picchiare qualcuno, adare un “pacchero”. Anche i vestiti sono tutti uguali e in stile Gomorra. Esiste una violenza insita nel vestire e nello sguardo. Ma in realtà sono nati fragili e dietro tutta questa “carnevalata” da guappo si nascondono persone fragili che fuori dal loro quartiere sono intimorite e non sanno muoversi. C’è una violenza dell’estetica, hanno le magliette con scritto Narcos, hanno pistole tatuate o disegnate sulle magliette.

Gli unici cani accettabili sono i Pitbull, mica i Golden Retriever…

Certo, camminano per strada come se avessero un leone, ma sono ridicoli. Questa secondo me è la generazione più povera che abbiamo mai avuto. Perché non ragionano, chissà come saranno i figli. Nonostante i tanti miglioramenti, questi rimangono luoghi depressivi, senza cinema, librerie, campi sportivi. Forse con l’arrivo dell’Università arriverà gente nuova che si mischierà con gli altri.

Sei un fotografo e uno scrittore

La scrittura come la fotografia, è una questione molto personale. Non mi piace farmi chiamare fotografo o scrittore. Lo faccio solo per fermare il tempo e poterlo riguardare con calma. Sono interrogativi che faccio alla mia coscienza, è stato uno svuotarmi di cose inutili e trovare cose nuove. Certo c’è stata un’esigenza di scrivere, ma non ho per forza la pretesa di comunicare ad altri. Però sicuramente mi fa piacere se il mio desiderio di fotografare e scrivere trasmetta emozioni. Per me rimane un desiderio di creare, di ammirare la bellezza. Se mi metto davanti a un quadro di un grande maestro, quasi svengo. Mentre ai ragazzi di oggi, manca spesso il senso dello stupore, dello scoprire. Ci siamo disumanizzati. Gli oggetti ormai hanno sostituito la creatività, il porsi domande.

Hai pubblicato in Francia con Gallimard “Visages de Scampia, Les justes de Gomorra”. Con testi del poeta Christian Bobin, dello scrittore Erri De Luca e dello street artist Ernest Pignon-Ernest. Il libro uscirà in Italia?
Spero presto, sarebbe un peccato che i ragazzi di Scampia non lo possano leggere.

Porsi domande è visto come una debolezza?

Purtroppo sì. Mi ricordo che una volta un bambino non riusciva a fare un compito. I volontari lo aiutarono e lui era talmente contento che, quando il padre arrivò, tirò subito fuori il quaderno. Il padre lo rimise subito dentro la cartella, senza guardarlo. Era quasi un’onta che il figlio riuscisse. Credo che l’unico antidoto a questo, sia il bisogno di incontrarsi tra presone, tra diversi e con le diversità.

Serve poi lo stupore nei confronti della vita, l’incontro con l’arte in tutte le sue forme. Per me è stato fondamentale l’incontro con i libri di Pasolini, Alda Merini, Alessandro Pronzato, di Iosif Aleksandrovic Brodskij, di Danilo Dolci, di Gandhi, di Anna Achmatova, di Charles Bukowsky, di Vladimir Vladimirovic Majakovskij, di Marina Ivanovna Cvetaeva, di Gregory Nunzio Corso e di tanti altri…

Commenti