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Napolitano, fiori senza scuse per i martiri del comunismo

A Budapest mezzo secolo dopo la rivolta anti sovietica il capo dello Stato rende omaggio alla tomba di Imre Nagy. Ma niente autocritiche

Massimiliano Scafi

nostro inviato a Budapest

No, non prega, non s’inginocchia, non spiega, non chiede scusa, non fa autocritica. Giorgio Napolitano, cinquant’anni dopo, non corregge e nemmeno prende le distanze. Anzi, sembra che la cosa non lo riguardi, quando condanna «quanti non compresero l’autentica natura della rivoluzione ungherese». Sembra quasi che parli di un’altra persona, quando dice di essere venuto a Budapest «a nome di chi, nel corso del tempo, ha saputo riconoscere la straordinaria lungimiranza di quella rivolta». Eppure, in piedi nel palazzo bianco della presidenza, sotto lo sguardo accigliato dei ritratti di casa Asburgo, gli basta una frase per consumare una svolta a suo modo storica: «Ho reso omaggio sulla tomba di Imre Nagy e dei martiri dei fatti d’Ungheria a nome di tutto il Paese e nel ricordo di quanti governavano l’Italia nel 1956 e assunsero una posizione risoluta, a sostegno dell’insurrezione e contro l’intervento militare sovietico». E gli basta raccontare il suo «travaglio», le emozioni di questo viaggo «che è un dovere non solo di Stato, ma morale e personale», per ottenere il «grazie» del presidente ungherese.
Uno strappo freddo. Napolitano è rigido nei gesti, ma dirompente nelle parole: all’epoca, ammette, non aveva ragione soltanto il Psi, ma addirittura il governo centrista Dc-Psdi-Pli, quello con Antonio Segni a Palazzo Chigi e Fernando Tambroni, decennale bestia nera della sinistra, al Viminale. Loro sì, aggiunge, avevano visto lungo, loro sì avevano capito che la rivolta avrebbe «lasciato tracce profonde nella crescita democratica europea e sarebbe stata determinante per far maturare quella grade svolta che nel 1989 avrebbe reso possibile la riunificazione del continente». Soddisfatti i governanti ungheresi e i reduci del ’56. «Sereno» il presidente italiano, perché «il mio gesto è stato capito e apprezzato ampiamente». Sollevato no: «Il mio percorso l’avevo chiuso da tempo, quello di oggi è stato solo un coronamento».
Giornata lunga. Inizia alle dieci, nel nuovo cimitero comunale, proprio alle spalle dell’aeroporto. Sotto un sole estivo, mediterraneo, Napolitano cammina a passi lenti e misurati, con gli occhi bassi. Si ferma davanti al monumento ai martiri anticomunisti, depone una corona e poi si mette sull’attenti e fa il saluto militare, mentre una tromba suona il Silenzio. Quattro passi sotto le acacie e gli ippocastani, attraverso le steli in legno della Transilvania che ricordano i morti della rivoluzione, e si arriva sulla tomba di Imre Nagy. Per lui Napolitano ha sedici rose, otto bianche e otto rosse, e cinque minuti di raccoglimento. Infine, una sosta anche davanti a caduti italiani delle due guerre mondiali.
Alle 11,30, nella cittadella di Buda, i colloqui con Lazlo Solyom. Il presidente ungherese lo rassicura: il gesto è gradito e più che sufficiente, se c’erano nuvole ora sono dissolte. Davanti ai microfoni, Napolitano spiega il senso del viaggio: «Ho sentito di compiere un dovere non solo di Stato, ma morale e personale. Ho reso omaggio a Nagy e ai martiri a nome di tutta l’Italia, nel ricordo di quelli che la governavano nel ’56». Quelli che capirono subito «la lungimiranza» della rivolta, embrione della caduta del Muro. E quelli che capirono più tardi, «nel corso del tempo», il valore «della sollevazione ungherese contro lo stalinismo che aveva fatto tutt’uno con il comunismo». Tra questi che non compresero «la linfa della libertà» evidentemente c’è pure lui e c’è lo stato maggiore del Pci dell’epoca. «Vi fu chi giunse poi, rivedendo radicalmente le proprie posizioni, alla chiara consapevolezza del significato di quello storico evento».
Per Solyom basta così. Napolitano, dice, «faceva parte di una forza politica, minoritaria in Italia, che vide con favore l’intervento sovietico». Ma dal ’68 in poi «il presidente italiano ha più volte manifestato di aver cambiato parere, anche nel corso della nostra conversazione mi ha parlato del grande sforzo e del travaglio che ha vissuto per chiarire definitivamente questa vicenda». Altri passi, precisa, non servono: «Abbiamo letto con favore ad agosto le sue dichiarazioni alla stampa. È molto importante che oggi non abbia cercato di spiegare il suo comportamento di 50 anni fa, che non abbia cercato giustificazioni, ma che abbia dato atto con determinazione delle sue attuali convinzioni. Gli diciamo grazie».
Nel pomeriggio Napolitano è nel palazzo liberty che ospita l’accademia delle scienze e inquadra la rivoluzione del ’56 in una cornice europea: «La rivolta ha contribuito alla riunificazione del continente». Poi visita una mostra fotografica sulla rivolta e incontra la figlia del segretario di Nagy, Miklos Vasarely.

Riparte in serata, con la certezza di aver superato l’esame: «Era una missione di Stato, però ci ho messo anche qualcosa di personale».

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