Politica

Napolitano: ora di dolore nazionale

RomaIl salone dei Corazzieri è gremito, bandiere, telecamere e microfoni sono sistemate con cura, le alte cariche dello Stato sono già sedute, le fasce tricolori dei sindaci spiccano nella marea uniforme di grisaglie e di vestiti blu. Ci sono tutti, manca solo Silvio Berlusconi. Giorgio Napolitano entra a passo spedito, stringe le mani con energia, sorride cordialmente a Gianni Letta, parlotta brevemente con i presidenti di Camera e Senato, poi va rapido verso il leggio. Se è teso, non lo dà a vedere. Se si sente sotto assedio, non lo fa trasparire. E quando parla, ha una voce ferma. Questo è il «momento del dolore», dice, basta con le risse, ora serve «una riflessione comune».
Al Quirinale si celebra la Giornata del Ricordo, dedicata alle foibe e alle vittime italiane della repressione titina nel dopoguerra. Ma la morte di Eluana è troppo fresca, il tema è troppo controverso e lacerante, le polemiche politiche ancora troppo accese perché il capo dello Stato non torni sull’argomento del giorno. Poche parole, solo un accenno per cercare di calmare le acque. «Questa cerimonia - spiega - cade in un momento di dolore nazionale. Un momento che può diventare anche di sensibile e consapevole riflessione comune».
Una frase secca, asciutta, che segnala uno stato d’animo e suggerisce un «percorso», l’unico possibile in questo momento sul tema della fine della vita. «Dolore nazionale» quindi, perché il dramma della Englaro ha segnato le coscienze di tutti, cattolici e laici. E «riflessione consapevole e sensibile», perché una soluzione condivisa sul testamento biologico bisognerà pur trovarla. Per ora basta così, il presidente della Repubblica non ha alcuna intenzione di rispondere ad attacchi e di gettare altra legna.
E Gianni Letta gli fa subito eco: «Oggi è un giorno triste, di dolore, in cui forse il silenzio avrebbe reso più forte pure la celebrazione della Giornata del Ricordo». Poi, sulle foibe, trova modo di gratificare Napolitano: «Ci sono voluti sessant’anni per rompere la congiura del silenzio, l’iniziativa del Quirinale fa giustizia di questa colpevole disattenzione». Dopo lo strappo con Palazzo Chigi, tocca dunque a lui cercare di rammendare, di stipulare una tregua. E chi altro, se non l’Eminenza Azzurrina, può riuscire a ricucire tra Napolitano e il Cavaliere?
Infatti la presenza di Letta viene vista dal Colle quasi come l’udienza di un ambasciatore e il suo discorso quasi come un timido ramoscello d’olivo. Sono ore tese al Quirinale, dove, dietro la consegna del silenzio, si passano al setaccio gesti e dichiarazioni. Si prende atto della parziale retromarcia di Maurizio Gasparri, che l’altra sera insisteva sulle «firme non messe» e che adesso precisa: «Non volevo offendere nessuno, tantomeno il presidente che rispetto. Non rinuncio alle mie idee, ma se serve, mi scuso». Si accoglie con prudenza ma con piacere la puntualizzazione di Maurizio Sacconi: «Con il Quirinale opinioni diverse, ma nessun conflitto».
E soprattutto si colgono i segnali distensivi tra i partiti. Non c’è un accordo sul testo, c’è almeno quello sulla volontà di approvare la legge in un paio di settimane. Certo, nonostante Letta, resta il nodo centrale, il modo in cui Napolitano esercita il potere costituzionale di emanare i decreti del governo. Ieri intanto ha dato in via libera a quello anti crisi.

Il disgelo è lontano e gli occhi sono puntati sulla prossima nomina del presidente della Consulta: stavolta sarà Napolitano a decretare e Berlusconi, forse, a controfirmare.

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