NARRATORI ITALIANI GIOVANNI MARIOTTI Quando il burka s’indossa con la libertà

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«Ha da accendere?». Mi chiede il vucumprà che incrocio una sera d’inverno in una strada non periferica di Milano. In trattative - ancorché perdenti - con il fumo, non ho al momento accendino e dico di no. Mi spiace, non posso farlo accendere. Il negro resta con la sigaretta spenta in bocca e si dimena un po’, aggiustandosi la mercanzia che porta legata al collo dentro grandi casse di legno. Sembrano gabbie siciliane per furetti, solo molto più grandi. Nel frattempo sono giunto a destinazione e ho suonato il campanello. Ma il fumatore senza fuoco ha sistemato le sue bagattelle e punta dritto verso di me.
Sembra agitato e minaccioso. Mi preparo a menar le mani. Stringo la chiave della mia stanza tra l’indice e il medio: dicono che un pugno sferrato così faccia male. Il portone però si apre, balzo dentro e lesto lo richiudo, praticamente in faccia al mio «inseguitore». Che mi grida dietro: «maleducato!». Che strano insulto dalla bocca di un grassatore, rapinatore, stupratore (no, stupratore no)... Infatti, dietro l’elegante portone si sente un armeggiare di ferraglia ed è il vucumprà che lo apre con tanto di chiave e pieno diritto di condomino.
Non faccio in tempo a scomparire e debbo cospargermi il capo di cenere suscitando visibile soddisfazione e ilarità nel mio interlocutore... Banale constatazione: le apparenze ingannano.
Certo, chi scrive è un bieco reazionario... Ma provate a immaginare, dopo l’11 Settembre, un giovane arabo che se ne vada in giro per l’America profonda, con una moglie che indossi il burka. In treno, con passaporto arabo e un pacco grande e rotondo poggiato sulla poltrona. Ditemi che non sfiorerebbe anche Voi, fior di democratici e modernisti, il dubbio di una missione kamikaze...
Giovanni Mariotti lo sa molto bene e in Storia di Alì (Marsilio, pagg. 120, euro 12) ha raccontato una vicenda del genere con intelligenza e ironia. S’è anche divertito, facendo entrare la signora in burka in un sexy shop, alle prese con fruste, falli e lingerie, con comprensibile sbigottimento delle commesse. Mariotti è un affabulatore. Lo aveva già dimostrato con Creso (Feltrinelli), la storia romanzata del re di Lidia ispirata da Erodoto. Non giudica, né spiega. Registra le contraddizioni del nostro tempo. La velocità di Internet che mette in contatto con mondi lontanissimi ma può escludere da normali relazioni affettive e sociali. L’utilità oggettiva dell’emigrante e la naturale diffidenza da lui suscitata. Il melting pot americano, frutto multicolore di lacrime e sangue e il ruolo di gendarme del mondo esercitato dall’America potente e vittoriosa.
Tutte queste cose, Mariotti le espone, se possibile, con leggerezza, tra le righe della Storia di Alì. Che è uno dei tanti Alì venuti da un deserto arabo in un altro deserto americano, a cambiare la sua e un po’ anche la nostra vita. Alì sogna il calcio e i motori e lavora presso una pompa di benzina. La notte s’incontra con la figlia del gestore, Emily, dal corpo bellissimo ma dal volto deturpato.

Per questo si accoppiano al buio, facendo inconsapevolmente rivivere il mito di Amore e Psiche. Allora, indossare il burka, per Emily, coinciderà con l’emancipazione. Ciò che per milioni di donne equivale a una tortura, per l’occidentale sfigurata si trasforma in simbolo di libertà.

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