Roma - Se Genova era una «ammaccatura» (Bersani dixit), Palermo è una frattura scomposta. Con ripercussioni di ben più vasta portata, per il Pd.
Il segretario cerca ovviamente di circoscrivere e parla di «problemi politici siciliani», che hanno portato alla spaccatura del partito attorno al governo di Raffaele Lombardo e alla trombatura della candidata ufficiale. Ma la fronda interna al Pd ha deciso come un sol uomo di cogliere al volo l’occasione della bocciatura di Rita Borsellino per affondare il colpo - nella speranza che sia definitivo - contro l’intera linea politica bersaniana di qui al 2013. Ossia quella che si sintetizza nella «foto di Vasto», l’alleanza con Vendola, Di Pietro e la fantomatica «lista civica» dei Masaniello sudisti Emiliano e De Magistris (con Bersani candidato premier) per le prossime elezioni politiche. Linea nutrita dalla speranza - inconfessabile - che alla fine il Pdl, o meglio Berlusconi, non resista alla tentazione di mandare all’aria, come in ogni precedente occasione, il tavolo della riforma elettorale. Per l’alleanza di Vasto, infatti, il buon vecchio Porcellum sarebbe un viatico prezioso, se non indispensabile. Ma il Pd e Bersani non potrebbero mai prendersi la responsabilità di difenderlo, perché verrebbero immediatamente fulminati dalle saette del Quirinale, dunque si può solo sperare nel Cavaliere.
Ma mezzo Pd, quello dei «Monti boys» che vogliono un appoggio sempre più chiaro e inequivoco al governo e una prosecuzione della sua linea anche nella prossima legislatura, non ha alcuna intenzione di starci. «Bersani ascolta la base militante del partito, poche migliaia di conservatori sinistrorsi», ragiona uno di loro. «Ma il nostro elettorato all’80% è con Monti. E meno della metà vuole Bersani candidato premier». E ieri, appena arrivata la notizia della debacle palermitana, i «Monti boys» sono partiti all’assalto. Il segnale più inquietante, per Bersani, è che a dare il via alle contestazioni è stato proprio il suo vice, Enrico Letta: «L’alleanza con Sel e Idv è un accordo del passato», e «i nostri elettori chiedono altro, un accordo che guardi al centro», perché «dopo Monti nulla è come prima». Una sonora sveglia al segretario, immediatamente ripresa e corroborata dai veltroniani e da un pezzo di ex Ppi, che ha fatto sbottare Bersani: «Ma che c’entra la foto di Vasto con Palermo? Tutti i candidati alle primarie avevano sottoscritto un accordo di centrosinistra». A dare man forte al leader, però, ieri c’erano solo i pasdaran della segreteria, da Orfini a Fassina («È indecente usare le primarie siciliane per la battaglia interna») e Rosy Bindi: «Semplicistico e sbrigativo dire che la foto di Vasto è strappata». Ma anche lei deve ammettere che «dopo la caduta di Berlusconi c’è la possibilità di un avvicinamento alle forze moderate». Casini, che proprio ieri si è ritrovato allo stesso tavolo con Bersani alla presentazione di un libro, sbatte le ciglia: «Serve un’alleanza tra moderati e riformisti. Per questo tengo al rapporto con Bersani, che rappresenta l’anima moderata e riformista della sinistra».
Oggi Bersani riunisce la segreteria, per prepararsi ad affrontare la montante opposizione interna che chiede che Palermo sia «l’occasione per mettere le carte in tavola e discutere del vero problema, che è il rapporto con il governo e la strategia per la prossima legislatura», come dice Paolo Gentiloni. I veltroniani reclamano una direzione in tempi brevi («Nel Pd la democrazia è sospesa: non si discute dal 3 ottobre», dice uno di loro), il segretario la rimanda a fine marzo per stemperare il clima.
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