Nel Pd scoppia la guerra dei soldi

L'ultimo strappa per la Festa dell'Unità, la Margherita vuol cambiarle nome. Il partito di Rutelli teme la capacità dei Ds di accumulare risorse economiche soprattutto grazie al sistema delle sagre locali. La Margherita si è caricata di debiti in solo due anni mentre il bilancio della Quercia è in utile: così i due partiti litigano. E nel forziere del Botteghino c’è un tesoro di 163 milioni

Nel Pd scoppia la guerra dei soldi

da Roma

A quella «U» ci tengono, eccome. Se non altro perché è rimasto l’ultimo simbolo superstite di tutta una storia, l’ultimo tassello identitario. A Roma, per la più importante festa pre-estiva dei Ds, quando qualcuno ha avuto la pensata di eclissare il logo della festa dell’Unità per allestire un manifesto post-moderno che faceva tanto milano da bere («Democratic party», con tanto di fotografia di un cocktail») gli uomini della Quercia sono stati alluvionati di sfottò e proteste. Così a Bologna - per la festa nazionale - si è ritornati all’antico, con un logo (Una «U» rossa in primo piano) che sembra la fotocopia dei vecchi manifesti anni Ottanta. Come mai? Semplice. In un matrimonio tra un nobile abbiente, anche se appena uscito da un periodo di decadenza (i Ds), e una giovane brillante ma pressoché nullatenente (la Margherita), le Feste dell’Unità sono uno dei capi più pregiati del corredo di nozze, un gioiello che resta in regime di separazione di beni.
Debiti & patrimoni. Per capirlo basta un colpo d’occhio ai grandi numeri. I Ds hanno 169 milioni di euro di debiti, è vero. Ma anche una patrimonio di 163 milioni, e una struttura proprietaria (collegata alle fondazioni di partito) che controlla immobili su tutto il territorio. Mentre la Margherita sembra gravata da soli 5 milioni di euro: ma li ha accumulati in appena due anni (contro quasi un secolo di vita del suo «sposo»), e nelle casse può contare solo su 19 milioni di euro (di fatto sono i soldi del finanziamento elettorale). Per non parlare degli utili: i Ds vantano 11.550 milioni, la Margherita solo mezzo milione.
Ovvio che in questo scenario, gli uomini della Quercia abbiano fatto ricorso massiccio alle fondazioni: scialuppe di salvataggio a cui legare il destino dei propri beni, sottraendolo in anticipo alla gestione comune del partito che verrà. A capo di tutto questo sistema di scatole chi c’è? Un precettore severo e arcigno, il tesoriere della Quercia Ugo Sposetti, uomo di cui si può dire tutto, tranne che non abbia amministrato con oculatezza «il forziere rosso». Dopo anni di svendite, i Ds sono tornati a fare addirittura investimenti. Ed è stato lo stesso Sposetti a tagliare uno per uno i rami in perdita, con in testa l’Unità di cui adesso la Quercia non possiede (come spiega il suo tesoriere) «nemmeno una azione».
Industrie rosse. Le feste, poi, sono una vera e propria industria, una macchina da soldi: e anche qui c’è a guidarle un dirigente che è diventato quasi un manager, Lino Paganelli (sempre in sella dai tempi della segreteria Veltroni). Paganelli ha centralizzato gli acquisti, centralizzato le spese, creato un meccanismo simile alla syndacation per forniture e servizi.
Così, per capire i rapporti di forza economici che decideranno la vita del futuro partito, non c’è niente di meglio che guardare nelle carte dei bilanci che in questi giorni sono stati messi in rete sul sito della Quercia. I conti sono accompagnati da una relazione di Sposetti che pare scritta con la penna intinta nell’orgoglio e nell’adrenalina. «Mentre era in corso una violenta campagna di stampa contro i dirigenti del partito - scrive per esempio il tesoriere Ds - abbiamo raccolto 3 milioni di euro con la campagna di sottoscrizione Io ci credo». Un altro dato che impressiona, ovviamente, è quello che riguarda le dotazioni della casa. Fra funzionari politici, tecnici e collaboratori, presso il Botteghino lavorano 239 persone. Il costo più importante.
Cassaforte cash. Così, se provi a scorrere i numeri ti rendi conto che i Ds sono ancora oggi una macchina che mantiene ancora in servizio un apparato imponente: 46 funzionari politici e 103 tecnici (che dietro questa qualifica spesso svolgono attività politica). A fronte di queste spese, le grosse fonti di gettito sono tre: sottoscrizioni e tesseramento, finanziamento dei parlamentari (quasi 4.5 milioni di euro), delle federazioni, e rimborsi elettorali. Ma qui viene il bello. Tranne la festa nazionale, le feste de l’Unità non sono nel bilancio nazionale. Perché, vi chiederete? Perché sono organizzate localmente, e distribuiscono i loro profitti sul territorio. Ovvio che i prodiani come Vassallo, puntino il dito su queste piccoli gioielli di autofinanziamento. Quest’anno quelle organizzate sono passate a quota 4.500 (il 10% in più del 2006). Si calcola che muovano un volume di affari di oltre 350 milioni di euro (!) e che abbiano una redditività compresa fra il 10 e il 25%. Tradotto in una immagine: più la festa è piccola, più si guadagna. Ma le feste grandi sono appena 60. Il che vuol dire che le altre 4.450 sono una specie di cassaforte cash, che pompa soldi nei forzieri delle sezioni (oggi) e delle fondazioni (domani).

Paganelli, con un sorriso di legittimo orgoglio, riassume così: «Le feste sono uno strumento che non ti costa, ti porta soldi a casa, e ti fa comunicare gratis con gli elettori». Una gallina dalle uova d’oro, insomma, che resta fuori dalla dote. Almeno fino a quando la sposa povera non deciderà se rimboccarsi le maniche anche lei, oppure chiedere il divorzio e gli alimenti.

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