Il no al Ponte sullo Stretto fa tremare Impregilo

Dopo la bocciatura del responsabile dei Trasporti, la società vincitrice della gara per costruire l’opera ieri ha perso in Borsa quasi il 5%

Il no al Ponte sullo Stretto fa tremare Impregilo

Gian Maria De Francesco

da Roma

È Impregilo la prima vittima a Piazza Affari della nouvelle vague del governo Prodi. Le esternazioni del neoministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, circa l’inutilità e la dannosità del ponte sullo Stretto hanno penalizzato pesantemente i titoli della società di costruzioni, capofila del consorzio che si è aggiudicato la realizzazione dell’opera. Il verdetto del mercato è stato impietoso. I titoli ordinari Impregilo ieri hanno perso il 4,75% a 3,361 euro toccando nel corso della giornata un minimo a 3,29 euro (-5,9%). Male anche le azioni risparmio che hanno lasciato sul terreno il 2,34% a 4,053 euro. In una sola seduta sono stati bruciati oltre 66 milioni di capitalizzazione.
La Consob, per ora, non ha deciso di avviare accertamenti sul titolo anche perché l’andamento sul mercato ha rappresentato un riflesso dei flussi informativi pervenuti agli operatori. Flussi informativi che, a guardare le dichiarazioni pervenute dai componenti dell’esecutivo Prodi, appaiono alquanto contraddittori. Da una parte gli oltranzisti del «no» come Alessandro Bianchi. «Il ponte sullo Stretto di Messina è un’opera inutile e dannosa e quindi non va fatta», ha ripetuto ieri. «Me ne occupo da 30 anni - ha aggiunto - e ho delle idee molto precise perché fondate su documenti, studi fatti, partecipazioni a progetti». Niente ponte? Nessun problema per Bianchi. «Se l’opera non si fa - ha concluso - il Paese non tornerà indietro ma andrà avanti».
Dall’altra parte il neoministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, che ha scelto la strada della prudenza e del dialogo. «Credo che questioni così importanti debbano essere affrontate prima all’interno del Consiglio dei ministri e poi nelle Commissioni parlamentari competenti, quindi comunicate come decisioni collegiali. Un ministro della Repubblica e delle Infrastrutture che dovesse parlare a nome proprio, farebbe davvero poco gli interessi di questo governo, della coalizione e di questo Paese», ha dichiarato ieri. La circospezione di Di Pietro è anche legata, secondo quanto trapela in Parlamento, al suo disappunto per aver ricevuto un ministero dimezzato rispetto a quello del suo predecessore Pietro Lunardi. In mezzo alle due posizioni c’è il nuovo premier Romano Prodi che nelle sue dichiarazioni programmatiche ha sottolineato la necessità di «investire nei porti, nelle strade e nelle reti ferroviarie».
La matassa si presenta come molto difficile da sbrogliare. L’amministratore delegato di Impregilo, Alberto Lina, ha messo le carte sul tavolo. «Il contratto c’è, non esiste che possa essere ignorato. Viene da lontano e non è certo il frutto degli ultimi 100 giorni del governo Berlusconi», ha dichiarato all’agenzia Mf-Dow Jones. Il primo nodo da sciogliere, in caso di annullamento, è quello delle penali che secondo il ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio non dovrà essere pagata. «Il contratto - ha aggiunto - è molto complesso ed articolato, è composto da 52.730 pagine e quindi difficile dire quale possa essere l’ammontare. Il nostro obiettivo è sicuramente quello di non andare per le vie legali».
Il contratto tra la Stretto di Messina (società pubblica partecipata da Fintecna, Anas, Rfi e le Regioni Calabria e Sicilia) e il raggruppamento capeggiato da Impregilo e del quale fanno parte la spagnola Sacyr e le italiane Condotte e Cmc non prevede penali per mancata approvazione del progetto definitivo, ma un rimborso per la progettazione definitiva (66 milioni) o per quella esecutiva (56 milioni). Se i cantieri fossero bloccati dopo la loro apertura la penale è del 10% sulla parte non ancora realizzata e fino ai 4/5 del valore del contratto. Considerato che la commessa vale 3,9 miliardi la penale massima sarebbe di 300 milioni. Ma in quel caso sarebbero gli avvocati a fare la parte del leone. Bisognerà giustificare la perdita di un’opera che avrà un impatto di 6 miliardi sul pil di Calabria e Sicilia e che contribuirà alla formazione di manodopera qualificata.
Una questione va comunque puntualizzata. Come si potrebbero convincere le Ferrovie a investire in infrastrutture in un’area bassamente popolata come quella calabro-lucana (circa 2 milioni di abitanti) a fronte delle possibilità offerte dal collegamento con la Sicilia (oltre 5 milioni di abitanti) offerto dal ponte? Il governatore dell’isola, Totò Cuffaro ne è convinto.

«Con la realizzazione del ponte - ha affermato - la Sicilia riceverebbe un’attenzione internazionale». L’ex ministro Pietro Lunardi è preoccupato. «L’Unione vuole distruggere la nostra politica dei trasporti facendoci perdere oltre 3 miliardi di finanziamenti europei per le grandi opere».

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