Non ci sono più le mezze stagioni? Colpa dell’atomo

Caro Granzotto, non ho letto, come mi sarei aspettato, una sua critica al comportamento della maggioranza riguardo il problema nucleare. Se il premier, il governo e il centro-destra non hanno il coraggio (o non sono in grado) di difendere la giusta decisione presa per il bene del Paese si votano alla sconfitta, contrariamente a quel che dice la bellona Prestigiacomo nel fuori onda. Questo comportamento succube delle reazioni emotive, unito a una mancanza di politica di sviluppo industriale, denuncia la pochezza della nostra classe dirigente e, alle prossime elezioni, ci metterà come sempre nella condizione di votare per il meno peggio. E di ciò sono francamente stufo! Se poi volgo lo sguardo a sinistra mi assale l’angoscia per il futuro dei nostri figli e nipoti. Presidente Berlusconi, si ricordi che gli uomini di stato son guidati dall’interesse generale, non dai sondaggi.
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Una delle campagne terroristiche meglio riuscite dal tempo della peste di Milano del 1630 e dei relativi untori è quella sulla minaccia del nucleare, caro Schiavini. Che ha origine in una paura concreta: un conflitto, ai tempi della guerra fredda, fra superpotenze «atomiche» con conseguente «olocausto nucleare». Allora l’uso civile dell’atomo era poco più che sperimentale (la prima centrale a entrare in funzione - nel 1956 - fu quella di Calder Hall, in Inghilterra, con una potenza di 50 megawatt. Quelle d’oggi variano dai 600 ai mille e 600 MW) e nessuno se ne curava. Tuttavia all’«atomo» si cominciavano già ad attribuire, per voce popolare, poteri - e pericolosità - non strettamente legate alla sua micidiale efficacia bellica. Poteri e pericoli di marca già vagamente ambientalista. Al classico: «Non ci sono più le mezze stagioni, signora mia» era uso rispondere: «Colpa della bomba atomica». Le cose andarono avanti così per un pezzo, con le centrati nucleari che a causa del costo molto basso del greggio potevano contarsi sulla punta delle dita. Poi arrivò la crisi petrolifera del ’73. Ciò che indusse le nazioni tecnologicamente avanzate e premurose di assicurarsi un futuro energetico non gramo a incrementarne la costruzione (oggi ammontano a 451). Tutto ciò senza che gli ambientalisti ne facessero una battaglia la quale divampò, invece, a partire dal 1979, anno dell’incidente - assolutamente senza conseguenze - al reattore di Three Miles Island, in Pennsylvania. Sono dunque oltre trent’anni che i «no nuke» martellano una opinione pubblica già sospettosa nei confronti dell’atomo, non foss’altro perché ha fatto sparire le mezze stagioni. E poco importa sapere che nonostante fosse un rottame, con reattori di vecchissima generazione, sistemi di sicurezza meno efficienti di quelli della pionieristica Calder Hall, il disastro di Cernobyl causò - fonti Onu - 53 morti (e la miniera di carbone di Marcinelle 262, e la diga del Vajont mille e 900): grazie alla efficientissima campagna terroristica, per i più il nucleare è e resta la minaccia numero uno per l’umanità.
Questa lunga, ma credo necessaria premessa, caro Schiavini, è per giustificare o se preferisce per comprendere le ragioni che hanno spinto il governo alla moratoria. Reazione emotiva? Forse, ma emotiva reazione all’emotività irrazionale che ha condotto larga parte dei cittadini a ripiombare - grazie anche all’isterico coro delle prefiche antinucleariste - nella più nera paura a causa dei guai al reattore di Fukushima (che tuttavia ha retto - non è «esploso» - a un terremoto di magnitudo 8,9).

Certo, fa rabbia: ma sempre meglio la moratoria di un anno che il no deciso e a tempo indeterminato - Fukushima o non Fukushima - della sinistra. La vera palla al piede al progresso - loro che si vogliono progressisti - e serio ostacolo a quel «costruire il futuro» del quale si riempiono la bocca.
Paolo Granzotto

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