Non servono i guantoni alle scaramucce d’amore

Non servono i guantoni alle scaramucce d’amore

Rapper incappucciati e frenetici, sacchi e guantoni da pugilato, attrezzi ginnici, corde e scale su cui arrampicarsi, corse, calci e schiaffi: punta all’atletismo esasperato la messa in scene de La bisbetica domata di Marco Carniti che, domenica 20, chiude la stagione shakespeariana del Globe Theatre, quest’anno particolarmente felice in fatto di pubblico e incassi. Mettere in risalto il corpo degli attori e farlo, tanto più, su testi classici non rappresenta certo una novità. Questo allestimento di Carniti, però, all’atletismo, alla danza, agli allenamenti da ring, aggiunge un gusto pittoresco e barocco per le suggestioni e i materiali più diversi. Un continuo flusso di trovate e contaminazioni (tanto più musicali) che, rovistando nell’avanspettacolo, nella farsa napoletana, nel gotico, nel kitsch, gonfia la commedia di Shakespeare fino all’inverosimile, restituendocela in una trasposizione moderna che, pur se efficace (soprattutto nella prima parte), rischia forse di mettere troppa carne al fuoco. Ciò permette senza dubbio al regista di evitare il didascalismo e l’ovvio, a tutto vantaggio di una nutrita freschezza d’invenzione, ma secondo noi rende i personaggi troppo bizzarri. L’ubriacone Sly della cosiddetta «cornice» (Fulvio Falzarano) diventa un barbone dall’aria militaresca che vomita invettive contro i politici odierni cantando brani pop e citando Amleto. La battagliera Caterina di Sandra Collodel sembra un’amazzone del terzo millennio, palestrata e mascolina, la cui capitolazione sotto le torture del marito assume toni da gothic novel. Il più misurato e ironico Petruccio di Maurizio Donadoni si agita tumultuoso nell’intento di sedare i capricci violenti della donna, passando con destrezza dal ruolo di vittima a quella di carnefice.

Entrambi se la cavano egregiamente e il pubblico li applaude caloroso, ma nell’insieme questa palestra degli orrori/amori possiede qualcosa di stridente. Qualcosa che ha a che fare con il dialogo shakespeariano. In fondo, le schermaglie sentimentali de La bisbetica vanno bene così come sono e non è necessario riempirle di rumore.

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