Roma - «Dal bipolarismo l’Italia non intende tornare indietro. Abbiamo ottenuto il proporzionale ed è il massimo. Piuttosto miglioriamo questa legge senza stravolgerla». Gianfranco Rotondi non coltiva certo spiccate nostalgie per formule come «compromesso storico», «solidarietà nazionale» e «consociativismo». Anzi al funerale del bipolarismo il segretario della Democrazia cristiana per le Autonomie, non è affatto disposto a partecipare.
Senatore Rotondi, cosa pensa di questa ondata di nostalgia per il centrismo?
«Il centrismo è stato una formula di governo per meno di cinque anni. De Gasperi voleva consolidarlo con una legge elettorale a correzione maggioritaria. L’elettorato nel ’53 la bocciò e il centrismo si concluse così. Diamo uno sguardo ai numeri. Quel centrismo aveva poco meno o poco più del 50% dei voti. Il centrismo oggi è caldeggiato da partiti che hanno poco meno o poco più del 5% dei voti. Ma l’arco di forze elettorali degasperiane oggi va dalla destra democratica di Fini alla Margherita».
Cosa intende per forze politiche degasperiane?
«L’Italia che votava De Gasperi era un’Italia cattolica e laica, non marxista né nazionalista. Sono gli elettori di An, Forza Italia, dei partiti postdemocristiani e della Margherita. Questo è il centrismo di oggi, bello e impossibile non perché manchino gli elettori disposti a votarlo ma per i personalismi degli eletti dei vari partiti di centro».
Queste forze potrebbero mai ritrovarsi insieme sotto un’unica bandiera o dentro la stessa coalizione?
«L’anomalia italiana è che i socialdemocratici hanno paura di dichiararsi tali e cercano una analogia con il Partito democratico americano pur venendo dal vecchio Pci. Sull’altro versante i Popolari non si mettono insieme perché nessuno è disposto a riconoscere che solo il carisma di Silvio Berlusconi dà una possibilità di vittoria. Casini dice: basta con Berlusconi. È legittimo ma perché mai Berlusconi dovrebbe dire ai 30 italiani su 100 che lo votano di dirottare i voti su Casini o su qualche invenzione dei salotti buoni?».
Non crede che la cultura del bipolarismo sia ormai entrata nel dna degli elettori?
«Non c’è dubbio. L’elettore è già molto più bipolare di quanto non lo siano gli esponenti politici. La politica dei due forni è quella politica delle mani libere ci riporta all’era in cui i partiti non rispondono agli elettori».
Berlusconi dice: la riforma della legge elettorale non è fondamentale. Si può andare a votare anche con questa legge. Condivide?
«Sono d’accordo con Berlusconi: la legge elettorale è solo il salvavita del governo. È legittimo il sospetto che si invochi la grande riforma per dare qualche mese in più a un governo con una maggioranza di 20mila voti superata da sondaggi tragici e fondata su un atto di carità di Follini. Per noi si può votare con questa legge, al massimo correggerla in qualche punto, ad esempio calcolando il premio di maggioranza non su base regionale ma nazionale».
Le fa paura l’ipotesi del referendum?
«Siamo sopravvissuti a due Repubbliche e pronti a navigare nella terza, ed è meglio se quest’ultima nasce da un voto popolare piuttosto che da un imbroglio di Palazzo.
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