da Milano
Giampiero Mughini non è facile agli entusiasmi e alle indignazioni dell'ultimo momento. Conosce il calcio e la società italiana abbastanza da non lasciarsi trascinare in crociate di opinione a cuor leggero.
Nel calderone del pallone italiano mancava lo sciopero dei Pulcini. Cosa ne pensa?
«Viviamo in un'epoca in cui tutti parlano senza conoscere i fatti, dallIrak al nucleare passando per i piccoli calciatori. Posto che la realtà dei fatti la conoscono solo i protagonisti, io sono un po' sospettoso».
Riguardo a cosa?
«Da un lato i motivi della protesta non sono certissimi; dall'altro mi lasciano perplesso gli slogan messi in bocca - o scritti sui cartelli - di bambini di dieci anni».
Quindi ci vuole cautela prima di salutare questa iniziativa come il primo passo verso una cultura dello sport...
«Mi sembra irreale che questo piccolo gesto possa costituire una ribellione al sentimento fazioso, sleale e spesso delinquente che avvelena il calcio italiano. Mi spiace, ma con i Pulcini non è arrivato Babbo Natale».
Serve un impegno più globale?
«La miglior risposta è il fatto che le altre 50 squadre della Figc fiorentina non si sono unite alla protesta. D'altronde il peso dell'iniziativa di bambini così piccoli è relativo. Sarò invece felice quando la protesta giungerà da squadre di Juniores, da ragazzi di 17-18 anni in grado di comprendere con la loro testa come lo sport sia valore e competizione e non becera faziosità».
Insomma, i genitori non sono il male asssoluto e i Pulcini non sono i salvatori del calcio...
«Gli episodi belluini di violenza come contorno allo sport più diffuso del Paese sono radicati in tutta Italia, da Torino a Roma, da Palermo a Udine; Udine, dove Ungaretti pubblicò le sue poesie e dove i tifosi urlavano «Devi morire!» a Del Piero quando si infortunò al ginocchio. No, quando penso al mondo del calcio l'ottimismo non mi sfiora né la mattina né la sera. E nemmeno a Natale».
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