Cinzia Romani
da Roma
Cara signora Cardinale, prima allAra Pacis come madrina del Festival Mediterraneo, poi a Palazzo Valentini da ambasciatrice Unesco. Fa la ragazza con la valigia (diplomatica)?
«È che sogno sempre di cambiare il mondo. Sono ambasciatrice di buona volontà dal 1999».
Nel senso evangelico?
«Nel senso che non prendo soldi. E mi batto per i diritti delle donne. Mi sono battuta molto per Suad, purtroppo lhanno bruciata viva. Ma sono riuscita a salvare Amina dalla lapidazione».
Quanto centra la sua storia personale nella decisione di spendersi per le cause umanitarie? Nel suo libro autobiografico Le stelle della mia vita, accenna alla violenza subita da adolescente, in seguito alla quale si ritrovò madre nubile, nel 1957, a Tunisi. Non fu facile...
«Certo. Comunque la Tunisia di Burghiba, come lho conosciuta io, che amando il deserto, sono tornata spesso laggiù e ancora ci torno, era un paese relativamente avanzato. Ho partecipato ai funerali di Burghiba, un leader illuminato, che rispettava le donne e dava loro libertà. Ma le cose difficili mi piacciono: sono nata alle nove del mattino del 15 aprile 1938. Un ariete battagliero dunque. Quel libro ho dovuto scriverlo, perché mi tartassavano tutti. Non soltanto per la storia di mio figlio Patrick, che ora è padre di due figli adulti. Leditore Laffont poi mha convinto a buttar giù idee e ricordi».
Lei è una diva italiana, tiene a battesimo a Roma il decennio Onu delleducazione allenergia sostenibile e leditrice Piemme ha dovuto tradurla dal francese?
«Il nostro Paese arriva sempre ultimo. A essere sinceri, la stampa mi rispetta. Ma siccome tendo a separare il lavoro dalla mia vita privata, ho voluto intervenire sulle mie vicende personali. Che a ogni modo entrano nelle mie scelte. Infine, i tipi di violenza sono tanti. Non cè solo quella sul corpo».
Per esempio?
«Pensi alla violenza sulla voce. Quella che ho subito per parecchio tempo, finché Fellini capì che la mia voce, con i suoi timbri rochi, andava benissimo così comera».
Ha girato Sous les pieds des femmes (Sotto i piedi delle donne) dellesordiente Rachida Krin, nel ruolo della pasionaria algerina Aya, che rievoca gli eventi del 1958, ai tempi del Fronte nazionale per lindipendenza dalla Francia ed ha appena tenuto a battesimo il MedFestival: quanto contano le sue radici africane?
«Non le ho mai dimenticate, non potrei. Sono dorigine siciliana da tre generazioni e adoro lidea di unire i paesi del Mediterraneo. Sotto il segno del cinema, magari, che serve a far sognare».
Da persona riservata, da madre mediterranea, come vede il racconto esplicito di Veronica De Laurentiis, che nel suo libro Rivoglio la mia vita rivela come lex-marito abusasse delle loro due figlie?
«Sono rimasta molto sorpresa. Però non voglio giudicare: non rientra nel mio stile. Personalmente, non sono mai apparsa nei pettegolezzi, ma ognuno è libero di scegliersi la propria vita. Io, adesso, difendo le donne. Le madri. E la madre delle madri, la Terra».
Certe star americane, a parole sostengono lo stile di vita ecologico, ma nel privato contribuiscono allinquinamento del pianeta, volando con i loro jet privati, che consumano centinaia di litri di carburante.
«Per me non funziona così: mi sforzo dessere coerente. A casa mia cerco di usare lacqua con ragionevole parsimonia. Spengo la luce, se lascio una stanza. Quanto agli spostamenti, uso lautomobile o gli aerei di linea. Il mio impegno lo dedico anche ai giovani: voglio aiutarli a capire che cosa succede nel mondo».
È per la sua vicinanza al mondo dei giovani che la prossima estate terrà a battesimo Powerstock, primo festival musicale «dedicato alla sostenibilità ambientale», a Albanelle, provincia di Salerno, sulla piana dove cè un impianto eolico?
«Si e ne sono entusiasta. Il luogo è magico, al tramonto, tra le pale che girano al vento, si può scorgere Paestum, con le sue rovine.
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