Occorre più integrazione commerciale

Sono sempre stato favorevole all'apertura dei mercati. Come diceva Bastiat: se i confini sono attraversati dalle merci, più difficilmente sono attraversati dagli eserciti. Centinaia di milioni di persone si sono affrancate dalla fame proprio grazie all'integrazione dei mercati e altrettante hanno avuto accesso a consumi inarrivabili con i costi occidentali. Infine, la globalizzazione è un frutto della libertà, non solo economica. Non mi sfuggono le difficoltà e i costi di aggiustamento per Paesi come il nostro, non chiudo gli occhi di fronte al mercantilismo e ai fondi sovrani. Ma se la globalizzazione va «governata», è guardando a un futuro di ancora maggior integrazione commerciale (e speriamo che sia così, nell'interesse di tutti). La capillarità dei processi di internazionalizzazione dell'economia è un fatto strutturale. Anche laddove nessuno lo sospetterebbe. Prendiamo la bresaola. Chi avrebbe detto che uno dei più tipici e apprezzati salumi italiani sia tanto «globalizzato» da entrare in crisi a causa della guerra commerciale tra Unione Europea e Brasile? Sotto la spinta di grandi produttori di carne europei come Irlanda e Gran Bretagna, che vogliono difendersi dalla concorrenza sudamericana e tenere alti i prezzi al consumo l'Unione ha varato un drastico regolamento sulla «tracciabilità» delle carni bovine importate (la possibilità di ricostruire la storia di ciascun taglio, dalla nascita del vitello alla macellazione).
Il passaggio da una produzione artigianale a quella industriale della bresaola, che non ha mai avvelenato nessuno, è stato reso possibile proprio dalla importazione di carne di bovini sudamericani allevati allo stato brado, in grado di fornire una carne magra e soda come quella delle bestie cresciute nei pascoli di montagna.
Ciò ha consentito al settore, in virtù delle qualità del prodotto, di crescere sino ad occupare oltre mille addetti in una provincia che conta settantacinquemila lavoratori. La bresaola resta un prodotto tipico, perché la specificità viene dal tipo di lavorazione, frutto di un'esperienza secolare e dall'essiccazione garantita dal clima della valle, ma le restrizioni all'importazione di carne stanno mettendo in ginocchio il settore. Insomma, la bresaola è ormai un prodotto globalizzato, come l'iPod. E, proprio come l'iPod che, benché costruito e assemblato pressoché interamente in Asia, porta alle aziende americane ben 163 dei 299 dollari del prezzo al dettaglio, così per la bresaola quasi tutto il valore aggiunto resta in Valtellina e in Italia (la carne viene pagata 6 euro dalle aziende compreso trasporto e dazi). Come per le produzioni high-tech, anche nel caso di questo prodotto tipico il valore risiede nella applicazione del know how, nel sapere, nella cultura, nella tecnologia, nella professionalità elevata e nei servizi che accompagnano il prodotto al consumatore finale.

Ma ricchezza e occupazione si basano sulle opportunità offerte dal commercio internazionale e sono oggi messe in discussione perché il meccanismo degli scambi si è inceppato. La globalizzazione, prima che un bene o un male, è la condizione dell'economia di oggi, con le sue sfide difficili per le imprese e le sue grandi e inaspettate opportunità.

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