Il film The Iron Lady ce la mette tutta per raccontarci una Margaret Thatcher rattrappita dalletà e dal dolore, simbolo della triste caducità dellambizione. Ma non ce la fa. Perché la Signora di Ferro non era un robot che una narrazione impietosa potesse e dovesse riaccompagnare nei più angusti limiti dellumano. Cè il meglio di noi in questa donna, e riaffiora nel ritratto di celluloide che ne fa unimpeccabile Meryl Streep. Era imperfetta e egoista come siamo tutti: solo che tutti i difetti dellego strabordante di un capo ammaliato dai riflettori si riscattavano grazie a un super-io dacciaio.
Il senso non del film, ma della sua carriera politica e della sua vita sta tutto in un paio di frasi, nostalgiche, appese nellaria ma con radici profonde come quelle di una quercia. «Ora vogliono tutti diventare qualcuno. Noi volevamo fare qualcosa». La regista Phillida Loyd non è una fine esegeta del conservatorismo thatcheriano.
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