Operatori ecologici, ripuliteci dai cassonetti

Caro Granzotto, da alcuni giorni nel mio piccolo paese friulano e in quelli limitrofi sono spariti dalle strade i cassonetti. No, non sono stati trafugati; semplicemente è entrata in vigore la «raccolta differenziata integrale porta a porta». Ogni famiglia è dotata di 5 diversi contenitori che, nelle giornate prestabilite, lascia accanto all’ingresso di casa e che al mattino trova svuotati. Certo, questo comporta il dover depositare, a esempio, le unghie nel «secco residuo», le salviette in quello della «carta e cartone» mentre quelle usate, assieme ai fiammiferi di legno, nell’«organico umido». Inoltre c’è il contenitore per la «plastica+lattine» e quello del «vetro» per cui uno alla sera, dopo aver ottemperato a questi obblighi, si sente veramente appagato. Poi magari accende il televisore e apprende dal Tg che in altre parti d’Italia (unita, mi raccomando) le strade sono stracolme di monnezza. Che pena caro Granzotto, che pena...
Venzone (Udine)

Lei mi conforta, caro Calderari. Perché vede, con i caravanserragli comunali della Nettezza urbana io ho il dente avvelenato. E avvelenatissimo con il Tarsu, famigerato acronimo che sta per «tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani». L’importo della quale, tanto per cominciare, è determinato (salvo per i piccoli comuni) dai metri quadri occupati e non dal numero delle persone che li occupano. Ciò significa che il singolo occupante di un alloggio di 100 metri quadri e che produce mediamente 520 chili di pattume l’anno, finisce per sborsare il doppio di quanto sborsa una famiglia di tre persone che alloggiano in un appartamento di 50 metri quadrati e che di spazzatura ne producono il triplo, ovvero oltre mezza tonnellata. Un arbitrio al quale si somma un’angheria: con quello che paghiamo di Tarsu ci obbligano anche a fare metà del lavoro. Una volta non era così: i netturbini - oggi operatori ecologici - si incaricavano di svuotare i bidoni della spazzatura posti la sera davanti all’uscio, quando non il contenitore condominiale entro il quale, grazie ad appositi condotti, gli inquilini si sbarazzavano dell’immondizia. Quel che tocca fare oggi lo sanno tutti: disfarsi dei rifiuti mettendoli negli appositi e orribili cassonetti, non sempre allineati sotto casa. Quando non procedere inizialmente alla cernita dividendoli, i rifiuti, in cinque o sei diverse pattumiere - e guai sbagliare - per favorire la raccolta differenziata. Così che agli operatori ecologici non resti che assicurare i cassonetti alle ganasce dei loro rumorosissimi automezzi e abbassare una leva perché automaticamente si svuotino. Conosco già le obiezioni: la mole dei rifiuti aumenta sempre più e la raccolta differenziata consente di riutilizzarli al meglio producendo, con appositi termoconvertitori, energia elettrica. Non discuto, limitandomi a osservare che la discarica più grande del mondo, quella di New York, seguita ad accumulare immondizia non differenziata. Immondizia che dopo una prima sgrossata meccanica viene posta su chilometrici nastri trasportatori e suddivisa a mano da personale che l’azienda può tranquillamente permettersi visti i ricavi derivanti dalla produzione di energia elettrica (i termoconvertitori della discarica illuminano mezza città). Ecco come la vedo, caro amico. Però sappia che in cuor mio ero disposto a passar sopra sia all’arbitrio sia all’angheria se all’uno e all’altra si fosse accompagnata la rimozione dalle nostre città di quell’orrore, di quel ributtante coso che chiamasi cassonetto, capace di deturpare anche la più deturpata delle vie cittadine. Ora lei mi annuncia la buona novella: grazie alla vostra buona volontà da Venzone e dintorni l’abominevole manufatto è sparito alla vista.

Pertanto tiro un sospiro di sollievo, caro Calderari, e voglio sperare, anzi, voglio credere che sia solo l’inizio di una campagna nazionale di radicale decassonettizzazione (per altro già praticata a Napoli, ma per altre fisime e con ben altri risultati estetici).
Paolo Granzotto

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