Dentro le opere del Novecento per scoprire che cos’è l’arte

Dentro le opere del Novecento per scoprire che cos’è l’arte

Proviamo a smontare un’opera d’arte moderna, a capire come funziona, perché piace, e soprattutto perché è arte. Quando il collage si trasforma da gioco a opera pittorica che crea un mondo nuovo? Quando la plastica diventa un materiale degno di entrare nei musei? Perché un’installazione luminosa si può chiamare opera d’arte? È a domande come queste che risponde la nuova mostra che da oggi apre i battenti al Museo del Novecento: «Tecnica mista. Come è fatta l’arte del Novecento» (fino al 9 settembre) nasce da un’idea di Marina Pugliese, che dirige l’ex-Arengario, per valorizzare la collezione permanente, alcune nuove donazioni e soprattutto fornire al visitatore, specie al neofita, gli strumenti per capire le espressioni artistiche del secolo breve. L’arte del Novecento, insegna la mostra, è fatta per stupire: prendiamo «Coma», grande installazione del russo Alexander Brodsky (che si aggiudicò 10 anni fa il Premio Milano-Museo del Presente). In una grande vasca di zinco, ora posta al piano terra del museo, il centro di Mosca è stato ricostruito con case e casupole di creta. Ben riconoscibile, al centro, il Cremlino. Dall’alto, inseriti in boccioni simili a quelli che si usano per l’acqua negli uffici, partono delle flebo di plastica: dentro vi scorre, goccia dopo goccia, olio nero. L’odore del petrolio è ovunque e si allarga - letteralmente a macchia d’olio - sulla città non appena vengono aperte le taniche. È l’opera principe in mostra, realizzata 10 anni fa eppure ancora attuale, per dimostrare quanto versatile sia l’arte contemporanea. E quanto abbia a che fare con la storia. Poi ci sono i quadri «trasparenti» di Carla Accardi, il «bosco fatato» di Marotta, fatto di sculture un plexiglas che riproducono alberi e ricordano il valore della natura, e poi ancora la «Scultura da prendere a calci» (noi l’abbiamo fatto: funziona) di Gabriele Devecchi, per dimostrare che l’arte del Novecento è interattiva, mai statica. E poi ancora i quadri in metallo di Chen Zhen, per dire che l’arte è capace di forgiare anche i materiali più impensabili, oppure l’«Enciclopedia dei fiori» di Andrea Mastrovito, omaggio alla bellezza del mondo. Insomma, l’arte del Novecento è curiosa, polimorfa. Tutto, fuorché noiosa. Per il pubblico giovane il museo ha pensato a un piccolo catalogo ad hoc (e ad attività didattiche organizzate da Civita) mentre per gli adolescenti si è provveduto ad audioguide divertenti, realizzate dagli stessi studenti del liceo artistico «Boccioni». Se «Tecnica mista» fornisce al visitatore del Museo (ingressi raddoppiati negli ultimi mesi, numerose le visite guidate per le scuole) gli spunti per capire meglio tutta la collezione esposta, oggi aprono anche altre due piccole ma significative esposizioni. Direttamente dagli archivi del muso, si mettono in mostra «I libri di Gastone Novelli», artista, poeta, intellettuale impegnato e sempre controcorrente: Marco Rinaldi è riuscito a recuperare tutte le sue opere grafiche (fino al 17 giugno) mentre nella sala Focus si celebrano i collage fotografici del torinese Beppe Devalle, tra i più interessanti interpreti della pop art all’italiana.

Insieme a una quindicina di collage che imprimono sulla tela l’ascesa e la caduta del sogno americano degli anni Sessanta, si mostra al pubblico l’opera «Salem», del ’63, recente dono dell’artista al Museo del Novecento. Salem come il nome delle sigarette americane in voga all’epoca, come la città delle streghe e dei padri pellegrini, come un mito che, nonostante lo scotch ingiallito del collage, continua a vivere ancora.

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