«Ora serve l’annuncio della riforma fiscale»

Il tempo della ripresa è finalmente arrivato? Lo chiediamo a Fabio Pammolli, direttore del Cerm.
«Le imprese italiane sono in buona salute, anche per la ripresa della domanda internazionale. Il dato Istat ci mostra una stabilità rispetto a gennaio, dove già c’era stata una crescita del 2,6 rispetto a dicembre. Va però notato che tengono soprattutto i beni intermedi, quelli cioè scambiati fra le imprese, mentre sono più negativi i beni di consumo, il che significa che la domanda interna è ancora prudente, anche per le tensioni che riguardano l’occupazione».
Che cosa dobbiamo aspettarci?
«Per quanto riguarda le imprese, la produzione è già partita e continuerà in futuro, anche se magari si registreranno ancora piccole pause. Verosimilmente questo avrà un impatto positivo sul Pil del primo trimestre, cioè dei mesi in cui si mette, per così dire, il fieno in cascina per tutto l’anno, e si decidono di conseguenza le strategie di politica economica. E sulla fiducia delle imprese ci confortano anche gli indici internazionali, in particolare il Composite Leading Indicator (Cli) dell’Ocse».
Di che cosa si tratta?
«È un indicatore composito che legge l’andamento dell’economia a breve termine, catturando anche i segnali precoci. Nel confronto fra i principali Paesi dell’Europa continentale, l’Italia si colloca tra quelli in espansione: la variazione annuale è stata infatti positiva di 13 punti, mentre la Francia ne ha segnati solo 10,6, la Gran Bretagna 11,8 e solo la Germania ne ha segnati 16,8».
Torniamo alla domanda interna: gli incentivi potranno essere d’aiuto?
«Sì, ma come misure d’accompagnamento. La vera sfida per far ripartire la domanda, infatti, è legata all’aspettativa di crescita degli indicatori di reddito. In questo senso, la scelta giusta è e rimane quella che è già stata fatta dal governo: l’assoluto rigore dei conti pubblici, una strada su cui anche Trichet ci ha incoraggiato a proseguire. Ed è importante anche l’annuncio della riforma fiscale».
Forse una delle più attese.
«Certo, perché mettere mano alla stratificazione di detrazioni e deduzioni fiscali che non generano reale beneficio per l’individuo, per arrivare a una semplificazione delle aliquote, è un fatto positivo. C’è però una condizione necessaria».
Quale?
«L’identificazione di ambiti di contenimento della spesa corrente. È vero infatti che l’esperienza di altri Paesi ci dice che la riduzione delle aliquote e la semplificazione del sistema fiscale nel medio periodo genera un aumento del gettito, ma nel breve periodo si rischia un aumento del deficit e noi non possiamo permettercelo. In quest’ottica, vorrei sottolineare l’importanza di due leggi, forse sottostimate dall’opinione pubblica».
A che cosa si riferisce?
«Anzitutto, la legge 42 sul federalismo fiscale. Va applicata tenendo la barra dritta, annunciando i piani di convergenze delle Regioni verso i livelli di spesa standard, in modo che si possano correggere gli eventuali scostamenti prima che si producano i tristemente famosi “buchi” nei bilanci locali».
E la seconda legge?
«L’approvazione della nuova legge del bilancio dello Stato, avvenuta a inizio anno, rappresenta a mio avviso un altro passaggio fondamentale. Infatti fissa un nuovo patto di stabilità interna con le Regioni, all’insegna di una maggiore trasparenza, indispensabile per controllare, intervenire e consolidare i conti.

Certo, poi, il sistema industriale ha bisogno anche di altro».
In particolare?
«Infrastrutture e - ma qui i tempi naturalmente saranno più lunghi - formazione. In questo senso, è positivo, per quanto riguarda istruzione e università, il disegno di legge Gelmini».

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